Una mamma in un “paese di città”

Da Unamammapsicoterapeuta

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Eccoci di rientro dalle vacanze e come ben si sa, finito il riposo, finita la pacchia, lo stress sembra maggiore del periodo precedente alle vacanze stesse. A causare il disturbo da stress  post-vacanziero è la prospettiva che abbiamo davanti: mentre prima ci si sente “esauriti” per l’intero anno lavorativo e si contano i giorni per l’agognato relax, a Settembre ci si sente fiacchi, ma davanti a noi ci sono tre mesi lavorativi intensi prima delle prossime vacanze natalizie. Sembra presto, ma in realtà dopo le vacanze estive viene già Natale perché con la cucciola in giro per casa,  indaffarata a scorrazzare qua e là, più gli inserimenti e gli ambientamenti vari di altri cuccioli, il tempo vola e nessuno se ne rende conto. Eh no! Perché il tempo rimane comunque tiranno e decide lui se avvertirti o meno che sta correndo come un ossesso!!!

Poi c’è da aggiungere un altro fattore che alimenta il mio stress: un cuore sempre diviso a metà. È proprio così, ogni volta che parto e ogni volta che ritorno, mi sento sempre divisa tra gli affetti di sempre, quelli storici, quelli radicati dentro, quelli indissolubili, che hanno la forza di reggere ad anni di distanza (ormai 15) e talvolta di assenza, e gli affetti nuovi, quelli nati da un incontro casuale, quelli scelti tra le mille vicissitudini, quelli maturati giorno per giorno, quelli che ormai non posso fare a meno di definire una nuova famiglia. Un cuore diviso a metà tra l’isola e la penisola, tra il mare e la terraferma, diviso tra l’infanzia e la vita adulta, un cuore che lacrima ad ogni distacco da qui e da lì. Sono convinta che dopo 15 anni che provo sempre lo stesso dilemma (anzi, sempre peggio) non cambierà mai, le lacrime di mia madre sono sempre le stesse, così come quelle di mia sorella, quest’anno si sono aggiunte le vicine di casa e forse un giorno anche quelle della cucciola. Eppure abbiamo scelto la città, pur essendo fiera di essere nata e cresciuta in un paese. Ho provato a risolvere il dilemma, razionalizzandone le motivazioni, ma non ne cavo piedi. Che cosa comporta scegliere di essere madre in città o in un piccolo centro abitato? Volenti o nolenti, c’è una grande differenza, ma con un po’ di astuzia, si può superare il gap.

Vediamo un po’… Essere madre “trapiantata” in città significa:

  • Fare il corso pre-parto in ospedale;
  • Partecipare a forum che parlano di gravidanza e maternità;
  • Riuscire ad arginare la valanga di gente che vorrebbe venire a trovarti in ospedale, perché molti parenti abitano lontano, molti amici lavorano, perché nel reparto dove stai non accettano bambini e quindi coppie con figli senza baby-sitter rimangono a casa;
  • Riuscire ad organizzare dei turni di visite degli amici per venire a trovarti a casa, perché prima di improvvisare ti chiamano al cellulare;
  • Avere pochi pareri se non li chiedi e avere grande libertà di scelta;
  • Allarmarti se vedi che il tuo tono dell’umore va giù e muoverti per cercare aiuto nel consultorio sotto casa tua;
  • Andare al parco e fare amicizia con altre mamme come te, come altre mamme che spesso sono sole come te perché hanno i parenti lontani;
  • Cercare una struttura che ti sostenga nelle giornate con il nuovo arrivato perché devi tornare a lavoro e perché stare sola troppo tempo con i cuccioli porta a crisi di identità circa l’età che abbiamo;
  • Avere un’ampia scelta di asili nido, ludoteche, spazio be.bi., spazio gioco, materne, ecc;
  • Avere un’ampia scelta su come festeggiare i compleanni;
  • Avere un’ampia scelta sulle attività da far fare ai cuccioli (giardino zoologico, museo, cinema, laboratori creativi, letture animate, musica, sport, ecc…);
  • Sbrogliarti i pasticci per conto tuo, perché vale la legge “Hai voluto la bicicletta e mo’ pedali”, quindi “Hai voluto i figli, te li gratti tu!”;
  • Essere guardata storta quando tuo figlio si butta per terra vicino alla cassa del supermercato e tu sei in panico tra il carrello della spesa che si impiglia alla tua tracolla (o viceversa) e il marmocchio che non ne vuole sapere di rimettersi in posizione eretta;
  • Ritrovarti completamente sola nei momenti in cui ti senti particolarmente malinconica e tutti intorno a te hanno da fare proprio in quel momento;
  • Avere difficoltà ad organizzarti per un colloquio di lavoro perché non hai nessuno con chi lasciare i bambini, mentre il papà lavora;
  • Dover chiedere l’aiuto di una bacchetta magica per parcheggiare la tua auto nei parcheggi dei supermercati e tirare fuori i pargoli dalla portiera di dietro;
  • Avere la forza di Maciste per portare le buste della spesa, il passeggino con tuo figlio dentro, dal parcheggio che hai trovato a 300 m di distanza, dopo 2-3 giri a vuoto, fin sopra casa tua con una rampa di scale senza ascensore;
  • Allenarti in un simpatico gioco di incastri, da cui ormai non sai più come uscirne;
  • Correre, correre, correre;

Essere madre in un paese significa:

  • Non aver bisogno di fare il corso pre-parto perché è da quando sei bambina che senti centinaia di racconti di parti atroci o fulminei;
  • Non avere tempo per collegarti ad internet perché devi tenere casa in ordine e passa sempre qualcuno a prendere il caffè;
  • Avere una flotta di amici che ti creano una cappa claustrofobica intorno a letto dell’ospedale quando partorisci perché abitano tutti vicini e tutti ci tengono a venirti a trovare, tanto da prendersi anche il permesso a lavoro, in più, in reparto possono entrare anche i bambini;
  • Avere pareri anche se non li chiedi;
  • Dover mettere un’hostess all’ingresso di casa tua (in genere mamma o sorella) per accogliere chiunque decida di passare a trovarti, al rientro dall’ospedale, senza chiamarti, perché in paese si è più informali;
  • Allarmare i parenti se vedono che sei un po’ giù di tono;
  • Scegliere l’unico parco a disposizione per far giocare il tuo bambino;
  • Avere facilità di scelta sull’asilo nido o l’asilo in famiglia di tua madre o tua suocera;
  • Trovare parcheggio davanti al supermercato e sotto casa tua;
  • Andare dalla parrucchiera o dall’estetista mentre i bambini stanno con la nonna o con la zia o con un’amica o con la vicina di casa o a casa di un amichetto;
  • Avere dei sorrisi di comprensione e delle risate di sdrammatizzazione quando tuo figlio si butta per terra vicino alla cassa del supermercato e mentre la tua borsa si è impigliata al carrello, tuo figlio è stato aiutato dalla signora che sta in fila dietro di te, nonché cognata di tuo zio o nipote di nonno che ti conosce da quando sei nata;
  • Fare una chiacchierata con la vicina di casa nei momenti in cui la malinconia prende il sopravvento;
  • Allevare un bambino in una comunità (anni fa era stile kibbutz);
  • Far giocare i bambini per la strada con compagni di vario genere e tipo a seconda di quanto hanno procreato i vicini di casa;
  • Prendersi il proprio tempo;
  • Andare piano, piano, piano.

Apparentemente sembrano due cose opposte e chi vive solamente in una delle due realtà, alle volte, non capisce che cosa significhi vivere nell’altra. Io credo che nonostante tutto, si può essere una madre in un “paese di città”, basta cercare una rete sociale, una ragnatela di relazioni ed affetti, costruire legami perché in realtà è questo che fa la differenza vera ed è per questo che una madre può sentirsi sola in un piccolo centro abitato e in compagnia in una grande città. Penso che un genitore abbia tutto il diritto di avere una rete che lo sostenga nel difficile compito educativo ed il dovere di creare indirettamente supporto per i propri figli, perciò perché lasciarsi sfuggire l’occasione di farsi compagnia e “non rendersi soli”? Perché la verità è che la solitudine non esiste di per sé, non si è mai soli quando intorno c’è qualcuno, ma ci si può rendere soli con l’isolamento, la chiusura, il rifiuto di una mano tesa, la vergogna di chiedere aiuto, con il non accettare carezze quando le vogliamo, mandando in riserva il vitale serbatoio di energia che si riempie solo con la relazione. Ricordiamocelo sempre, alla fine della fiera, è sempre la relazione quella che cura.

Qual è la vostra esperienza?


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