Guardo il mio blog e mi rendo conto che non pubblico da più di un mese. Ahimè!!!
Ultimamente la mia vita è piena come un uovo, il lavoro mi impegna tanto e la cucciola chiede sempre più attenzioni. Abbiamo iniziato una nuova avventura insieme: io lavoro quasi a tempo pieno e lei fa orario completo al suo asilo nido. Abbiamo affrontato il momento dell’inserimento in parallelo e la fase di ambientamento è stata particolarmente impegnativa per la piccola. Se inizialmente non ha versato nemmeno una lacrima, appena si è resa conto che la separazione è una cosa seria, ha tentato in ogni modo di manifestare la sua rabbia, facendo notevoli passi indietro a ripristinare la vecchia sicurezza. Ho dovuto fare da scudo, tollerare le sue sfuriate apparentemente senza motivo, i capricci ad ogni occasione possibile, il pianto facile e i continui “Mia Mamma!!!” contro i suoi amichetti, per paura che qualcuno le porti via un “pezzo di sè”. Adesso sembra vada leggermente meglio e mi viene in mente qualche vecchio libro studiato alla scuola di Specializzazione, in cui lessi che i bambini e, di riflesso i genitori, passano delle fasi alternate tra crisi e serenità, momenti in cui ti sembra di vivere un idillio a momenti in cui ti viene da dire “Non lo/a riconosco più!”, momenti in cui dici è il bambino più bello del mondo a momenti in cui pensi che stia diventando proprio antipatico/a (pur non mettendo in discussione l’AMORE incondizionato).
Mi sono ritrovata così a sentirmi maggiormente soddisfatta nel mio lavoro, riprendendo quello che per me è uno spazio vitale, ma con un prezzo che inizialmente mi sembrava veramente troppo alto. Poi il confronto con il papà, con le amiche mamme, con le maestre, mi ha aiutata a prendere coraggio e a dirmi “vedrai che tutto si risolve”… il lavoro di squadra paga sempre.
Ad oggi continuo però a riflettere su quanto sia difficile conciliare lavoro e famiglia, certo non impossibile. È che il nostro essere donne ci espone automaticamente a grandi dilemmi esistenziali.
Un tempo ero convinta di avere la grande colpa o sfortuna di essere donna perché notavo quanti vantaggi avessero i maschietti coetanei (es. potevano tornare più tardi a casa, all’università venivano coinvolti maggiormente dai professori, nel mondo del lavoro sono sempre stati più agevolati, in casa tendono ad essere meno impegnati). Affacciandomi alla vita, la colpa di essere donna si è magicamente trasformata in dono per me e per l’amore più grande che una madre possa avere. Certo, essere donna ti espone a sbalzi ormonali incontrollabili, alla predisposizione a prenderti cura dell’altro anche se nessuno te lo chiede, a pianti improvvisi di fronte a qualsiasi evento ti ricordi che sei un essere vulnerabile.
La paura della mia vulnerabilità di fronte alla follia umana, alle combinazioni di eventi possibili, in alcuni momenti sono per me un dramma. Qualche giorno fa, ho seguito un servizio sulle chiamate al 118 del sabato sera: ragazzi sballati, ubriachi, sanguinanti per risse o per incidenti, ragazzi in preda alla follia del fine settimana. Ho provato un’immensa tenerezza per loro, ho ricordato tutte le volte che da adolescente ho cercato di superare i confini delle regole, di andare oltre a ciò che gli adulti (i genitori) proclamavano con foga, di separarmi dalle figure genitoriali attraverso il RISCHIO. Poi l’intervista di una ragazza. Ha raccontato di essersi fatta una pasticca. Si è sentita male giorni dopo, ha avuto una necrosi del fegato, seguita fortunatamente da un trapianto che ha lasciato strascichi per tutta la sua vita. Non ho retto alle sue parole. Ho avvertito un forte senso di impotenza, chiedendomi se sarò capace di insegnare a mia figlia a tenersi lontana da certi pericoli, perché so per certo che lei proverà ad andare contro i miei consigli, ad opporsi a tante delle cose che le proporrò. Non posso interrompere il corso degli eventi e non posso nemmeno controllare le sue scelte, ma posso provare a fare da esempio, a parlare con lei, ad indicarle strade percorribili e strade alternative, con la speranza che gli errori che farò inevitabilmente, non siano poi così gravi.
Poi di fronte alla paura, mi sorprendo a trovare CORAGGIO, da angoli inattesi, da risorse nascoste, perché quando si tratta di difendere lei, tiro fuori gli artigli per neutralizzare qualsiasi minaccia. Una mamma trova sempre il coraggio, anche se qualche volta non se ne rende conto, il coraggio di portare avanti i propri obiettivi ed incoraggiare quelli dei figli.
La verità è che una mamma porta sul viso il coraggio e la paura delle sue stesse intuizioni, in quelle espressioni di stanchezza dopo una lunga giornata di lavoro, fuori e dentro casa, in quelle espressioni di rassegnazione dopo ore di pazienza per gestire la sua vita e quella della sua famiglia, inestricabilmente unite, in quelle espressioni di tristezza dopo l’ennesima svalutazione subita e in quelle di gioia dopo una carezza ricevuta. E se poi là fuori c’è chi ci chiude la porta in faccia perché chi è madre è presumibilmente più impegnativa nel mondo del lavoro, c’è qualcuna altro che quando lo vai a prendere all’asilo apre le sue braccia e ti corre incontro aspettandosi un fiume di baci e a casa ci apre il cielo con il suo sorriso al varcare della soglia.
Io credo fortemente che la forza di una donna sia anche quella di saper vivere in mezzo alle dicotomie, proprio come l’eterno binomio famiglia-lavoro, pur avendo la certezza che i nostri figli siano la cosa più preziosa al mondo e che il nostro lavoro sia parte integrante del nostro sentirci realizzate come persone, non possiamo fare a meno di sentirci in spesso in conflitto. Diciamocelo pure, in fin dei conti, se non c’è nessun motivo per sentirci in bilico, ce lo troviamo abilmente e se non lavoriamo fuori casa, molto probabilmente, ci sentiremo in dovere di cercare un impiego!