Una minorenne in America/3: Greetings from New York, 1985 - Seconda parte

Creato il 18 giugno 2012 da Silviapare
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Non lo facemmo apposta. Camminavamo, camminavamo come sempre, nel caldo di agosto, mentre io macinavo chilometri masticando mele verdi, quando d'un tratto notammo un cambiamento nel colore dei passanti. C'erano molti più neri che bianchi. Anzi, i bianchi continuavano a diminuire, e a un certo punto finirono. Intorno a noi erano tutti neri. "Ma dove siamo? Guarda un po' la cartina." "Ah, guarda, siamo a Harlem!"

Harlem nel 1985, cioè, quando New York era una città sporca e cattiva e piena di criminali e di senzatetto, prima che arrivasse Giuliani a ripulire tutto con il lanciafiamme. E così, forse perché in quel momento ci punse la nostalgia delle nostre camerette sicure e tranquille, Cristina ebbe una splendida idea. Decise di telefonare a sua madre per farle un saluto. Trovammo un telefono pubblico e Cristina chiamò a casa. A New York erano tipo le 5 del pomeriggio, a Milano le 11 di sera, e sua madre dormiva. "Ciao mamma, indovina da dove ti chiamo? Da una cabina telefonica di Harlem!"
Dopo aver terrorizzato la madre di Cristina decidemmo che per quel giorno avevamo avuto sufficienti avventure, e potevamo tornare al college. Trovammo una fermata dell'autobus e ci mettemmo in attesa. Poco dopo vedemmo arrivare in lontananza un gruppetto di quattro o cinque uomini molto grossi in tuta da operaio. E allora anche noi, con tutta la nostra allegra incoscienza, cominciammo a sentirci un po' inquiete. "Ma secondo te vengono da noi? Ma secondo te cosa vogliono? Oddio, si avvicinano, cosa facciamo?" Restammo lì impietrite mentre gli omaccioni si avvicinavano e, sì, venivano proprio a parlare con noi. "Volete andare downtown, ragazze?" "Ehm, sì..." "Allora l'autobus dovete prenderlo dal lato opposto della strada. Take care".Quello fu senz'altro il momento più pericoloso di tutto il nostro viaggio.

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