“La dote fondamentale dello sbirro è proprio questa, Fenoglio lo aveva sempre pensato. Andare alla ricerca delle discontinuità, delle note dissonanti. Percepire quello che agli altri sfugge: i piccoli oggetti mancanti, le posture innaturali, i gesti forzati, i lievi affanni, i rossori, gli sguardi che sfuggono o indugiano troppo”.
È una storia che ha proprio la struttura di uno di quei noir antichi, dove gli elementi sono tutti forniti all’inizio, e parlano di esistenze “normali”, senza niente di eclatante o di troppo fantasioso. Personaggi e indizi sono tutti lì, si tratta solo di mettere in ordine i tasselli e dare un nome all’assassino.
Una di quelle trame piacevoli proprio perché si ha l’impressione che possa trattarsi di un fatto realmente accaduto, dove i personaggi non sono affatto costruiti. Il protagonista è il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio, di origini piemontesi, ma trapiantato a Bari, dove vive con la moglie Serena, insegnante di italiano e latino in un liceo scientifico, che non rimane nell’ombra come la moglie del tenente Colombo, ma aiuta il marito nelle sue riflessioni. Fenoglio si trova ad indagare su un omicidio dove tutto appare chiaro fin dall’inizio, sebbene al principale sospettato manchi un movente.
E poi c’è un particolare, una sensazione che il maresciallo ha avuto arrivando sulla scena del delitto, che lo tormenta, ma che non riesce a mettere a fuoco. Sabino Fraddosio, un uomo dai torbidi affari è stato sgozzato nella cucina della sua abitazione e c’è una testimone chiave, un’anziana donna che ha visto un giovane uscire dal palazzo e allontanarsi in tutta fretta, dopo avere gettato quello che si rivelerà essere l’arma del delitto, un coltello, nella spazzatura.
Gli indizi portano ad un giovane di buona famiglia, Nicola Fornelli, che si dichiara subito innocente, ma sembra rassegnato e non fornisce alcuna spiegazione. Le prove raccolte contro di lui sono troppe, e il caso appare già chiuso. Eppure, Fenoglio avverte un’incongruenza, una nota discordante, e decide di seguire il suo istinto e indagare utilizzando tutte le carte a sua disposizione, pur di andare fino in fondo.
“Fenoglio rimase in silenzio. Era l’indagine dei sogni. Tutto perfetto, tutto che si incastrava come un rompicapo risolto. E allora perché quel disagio. Perché quella sensazione indistinta? Come una parola che hai sulla punta della lingua. Come un odore lieve, sospeso nell’aria, a cui non sei capace di dare un nome”.
Questo maresciallo, che ama collezionare aforismi di Sherlock Holmes, odia saltare i pasti, si tocca il naso quando è imbarazzato e ama girare con un catorcio come macchina, appare vero e per questo indimenticabile.
Non dà giudizi morali, poiché è consapevole che, in fondo, siamo tutti fragili. Forse la trama è prevedibile, ma lo stile diretto e competente in materia di Carofiglio, in quanto ex magistrato, ci permettono di fare un tuffo nel passato e rivivere alcune fasi della nostra storia. La vicenda arriva ad essere irrilevante in sé, mentre invece quello su cui ci si focalizza e che si vuole esaltare sono caratteristiche come integrità e onestà nel dubitare persino della propria tesi, alla ricerca della verità, che mai dovrebbero mancare in un maresciallo dell’Arma.
“Una mutevole verità”, è un’edizione realizzata da Einaudi nel giugno 2014, in collaborazione con l’Ente editoriale dell’Arma dei Carabinieri in occasione del Bicentenario dei Carabinieri.
Written by Cristina Biolcati