Una narrativa che non si lava i piedi

Da Marcofre

Esiste un mezzo, un sistema, oppure delle linee guida, che impediscano a chi racconta storie, di celebrare l’ombelico (proprio o altrui è irrilevante)?
Di precipitare, insomma, nel gorgo del narcisismo?

L’autore è un narciso, la storia no

Ma perché dovrebbe essere tanto importante? In fondo, non si dice, e non si scrive un po’ dappertutto, che chi racconta storie ha un ego smisurato, è una bestiaccia presuntuosa? Perciò, è di certo narcisista.
Be’, concordo. Ma il punto, a mio parere, è che le storie che racconta non lo dovrebbero essere…
E d’un tratto, o quasi, ci siamo sbarazzati di quello che pensa l’autore. Molti lettori fanno infatti fatica a credere che il pensiero del protagonista di una storia non rispecchi fedelmente quello di chi scrive.

Tu menti per la gola! Anche i paracarri sanno che Dostoevskij la pensava in un certo modo, e usava le storie per pubblicizzare le sue idee.

Be’, non è affatto così. Che il buon Fedor la pensasse in un certo modo, si sa. Ma si sa altrettanto bene che lo scrittore russo riusciva alla perfezione a rendere le idee che NON condivideva. Come ho già scritto in passato: “I Demoni” è la rappresentazione di un certo tipo di idee che circolavano in Russia, ma che Dostoevskij non condivideva nemmeno un po’.
Come si riesce quindi a rendere la ciccia vera protagonista di una storia, invece di rifilare al lettore quattro ideuzze rimediate chissà dove?