Una narrazione condivisa ma non univoca

Creato il 04 giugno 2011 da Gadilu

Nella bella intervista di Matteo Pozzi a Leopold Steurer pubblicata ieri dal nostro giornale, lo storico ribadisce un giudizio perentorio sugli attentati dinamitardi della “notte dei fuochi” in chiave politica: essi non possono essere considerati in alcun modo responsabili dello sviluppo positivo che poi ha portato alla creazione dell’autonomia. Pur ritenendo il giudizio condivisibile, non è a mio avviso inutile soffermarsi ulteriormente su questa vexata quaestio, magari allo scopo di trarne qualche utile indicazione di metodo.

La prima indicazione: in un contesto contrassegnato in modo così palese da punti di vista discordanti, ogni contributo in grado di rompere l’automatismo etnico (cioè quando il rappresentante di un gruppo giudica le cose in modo opposto a quello che ci aspetteremmo) è un elemento prezioso e deve essere sfruttato come virtuoso esempio. Nella fattispecie: anche se resta vero quanto affermato da Steurer – la “notte dei fuochi” non ha determinato la creazione dell’autonomia – è bene che noi italiani ricordiamo come il ricorso alla violenza sia stato reso purtroppo possibile da una politica allora incapace di valutare la gravità della situazione, sorda di fronte alle legittime richieste della popolazione locale di lingua tedesca e ladina, responsabile infine di promuovere solo con esasperante lentezza ciò che invece avrebbe dovuto essere speditamente attuato in ottemperanza agli impegni presi con l’Accordo di Parigi e sanciti poi dalla Costituzione.

Da questa prima indicazione ne discende un’altra: oggi, a cinquant’anni di distanza da quegli eventi, occorre elaborare finalmente una narrazione comune – “condivisa”, come spesso si dice – della nostra storia. Attenzione però: una narrazione “condivisa” non significa assolutamente “univoca”, livellatrice di ogni differenza, uguale per tutti. È del tutto evidente che il punto di vista di un attentatore non possa essere risolto in quello delle sue vittime. È necessario quindi che ognuno si sforzi di comprendere le ragioni dell’altro, le motivazioni che l’hanno portato ad agire (e dall’altro lato della medaglia a soffrire) in quel modo, distinguendo in modo rigoroso i piani dell’esperienza personale, del significato storico e della rilevanza politica che è possibile discernere all’interno degli “stessi” fatti.

L’ultima indicazione riguarda lo spirito con il quale dobbiamo apprestarci a compiere questo lavoro. Mi è già capitato di parlarne: si tratta di togliere spazio, quanto più spazio possibile, al sentimento del rancore. Il tempo che passa certamente ci aiuterà. Ma anche noi dobbiamo impegnarci a farlo passare.

Corriere dell’Alto Adige, 4 giugno 2011