Una notte tardi di novembre salendo per la prima volta sull’Empire State Building, in mezzo ad una nebbia dorata dai fari degli edifici, coi tombini fumiganti come nei film, il pensiero in testa che sarei stato presto papà, e superata la nebbia, più alti di tutti, le punte dei palazzi che sembravano alberi, in mezzo ad una foresta di vento, con due ragazzi olandesi che si sono giurati l’amore davanti alle guardie che applaudivano,
Sempre nella notte, facendoci strada con la torcia, bagnati di sudore, parte di un’immensa fila di formiche che salivano, nel verde nero, e con l’alba davanti che iniziava lentamente e le grida degli uccelli nelle rovine di Machu Picchu,
la bianchezza gelida e perfetta del grande Salar di Uyuni, in Bolivia,
il mondo appena nato, a due passi dal cielo tra le lagune boliviane, sul tetto d’America,
quando sono rimasto in equilibro con gli occhi appena chiusi sul bordo del Grand Canyon,
il principio della sera, in autobus, attraversando il deserto di Chihuahua, e lontano il sole che scende abbracciando le stoppie e dall’altro lato la tempesta nera che mia ha appena sfiorato,
la passeggiata notturna con un amico israeliano a Real de Catorce e la nostra salita sul bordo del deserto, dove abbiamo parlato di Dio fino a che è tornato il sole davanti alle rovine dei pueblos abbandonati,
i tre giorni impiegati a superare in autobus le Ande e l’incontro con Juanita, nei deserti della California messicana,
la Moschea Blu, Santa Sofia e la Mesquita di Cordoba,
il tappeti di stelle sulla savana del Goias, in Brasile, la linea del cielo da Itapirica, a Salvador da Bahia, l’ombra dei Cristo Re sulla baia di Rio,
la luna che ci ha illuminato per il tutta la durata del silenzio durante l’eruzione del vulcano Pocaya, nel cuore del Guatemala,
la frontiera sulle traversine del treno per entrare a Panamà, la canoa per superare le piantagioni di banane, i bambini alla foce del fiume, il caribe come mi ha fatto innamorare a Bocas del Toro,
le Dolomiti che respirano ancora, quelle dove non si scia mai, dove non hanno toccato gli alberi, dove non hanno scavato imbruttito verniciato fatto il parcheggio messo in piedi il bar,
la punta di Sorrento nel brillio di aprile, la bocca del Vesuvio, lo splendore di Napoli e il movimento di Ischia dalla cima del Monte Solaro, a Capri,
la prima volta che il Muezzin ha risuonato nel mio cuore a Edirne,
gli avvoltoi o chi per loro sopra la cupola spenta e immensa del Taj Mahal
l’odore delle strade, fatto di polvere fritta nell’olio dei motori con banane, riso, spezie, insetti e il rosso acceso delle nubi sbaragliate dalla pioggia,
per fortuna, dico, e sono grato a Dio, che tante volte non mi sono capacitato della meraviglia incontenibile del mondo.
Una notte tardi di novembre salendo per la prima volta sull’Empire State Building…
Creato il 16 ottobre 2012 da DbellucciPossono interessarti anche questi articoli :
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