Una nuova guerra fredda nel Golfo sullo sfondo della “Primavera Araba”?
Creato il 02 giugno 2011 da Bloglobal
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di Giuseppe Dentice
In questi mesi di profondi sconvolgimenti nell'area del Nord
Africa e del Vicino e Medio Oriente, sembra emergere dalla regione del Golfo un
nuovo conflitto ideologico-politico – in
realtà mai sopito – tra Iran e Arabia Saudita. La “Primavera Araba” e l’ondata
di rivolte sta cambiando il volto della regione e il ruolo dei suoi attori
principali. Non tutti questi Paesi, però, sono pronti al cambiamento e alcuni,
come Arabia Saudita e Iran, stanno seguendo attentamente le dinamiche delle
proteste in modo da affermare la propria supremazia nel mondo musulmano.
Da più di trent'anni la regione del
Golfo è attraversata da rivalità e tensioni che hanno influito sugli equilibri economici,
politici e culturali del Vicino e Medio Oriente e di riflesso, anche, sulla
scena mondiale. Questi contrasti hanno alimentato divisioni anche nei rapporti
tra i due principali colossi dell'area: Arabia Saudita e Iran. Entrambi i Paesi
sono caratterizzati da profonde fratture di tipo etnico, religioso e politico
ma, attraverso la forza politica ed economica garantita dal greggio – sono,
infatti, i maggiori esportatori di oro nero al mondo e detengono tra le più
grandi riserve petrolifere mondiali –, mirano ad un ruolo di leadership
islamica e politica a livello regionale in modo da poter acquisire un certo prestigio
anche a livello internazionale.
Storicamente le differenze
socio-culturali tra Arabia Saudita e Iran sono dovute a diverse concezioni
dell'Islam. Questo confronto si è riversato fin dalla Rivoluzione Khomeinista
(1979) anche nella politica. Da un lato troviamo un Paese arabo-sunnita-wahhabbita
e, dall'altro, un Paese persiano capofila delle istanze sciite nella realtà
musulmana. Le prime avvisaglie di scontro tra le due culture si ebbero in
occasione della Prima guerra del Golfo tra Iran e Iraq (1980), allorquando il
regno dei Saud finanziò Saddam Hussein nella guerra contro il regime
teocratico. Dal 1987, però, le relazioni ufficiali tra i due Paesi si sono
irrimediabilmente rovinate a causa della repressione di un gruppo di fedeli
sciiti iraniani durante un pellegrinaggio alla Mecca. La causa scatenante la
dura reazione della polizia religiosa saudita (Muttaw'in) fu una protesta di un
gruppo di pellegrini sciiti contro la dinastia Saud. Questo atto provocò la
morte di circa 400 fedeli, di cui più della metà di nazionalità iraniana. La
reazione iraniana fu violenta. L’Ambasciata Saudita a Teheran fu assaltata e
furono presi in ostaggio alcuni diplomatici sauditi, di cui uno perse la vita.
Inoltre, Khomeini condannò duramente le violenze di Riyadh contro la
popolazione sciita. Quell’episodio segnò l'interruzione dei rapporti
diplomatici ufficiali tra i due Paesi.
Malgrado il riavvicinamento operato
durante gli anni '90, attraverso progetti di cooperazione regionale, i rapporti
tra i due Paesi sono sempre rimasti tesi. Anche la presenza di minoranze
religiose nei rispettivi Paesi non ha favorito la distensione dei rapporti.
Infatti, in Arabia Saudita, nella regione del Qatif si concentra la più grande
comunità sciita saudita (circa il 15% della popolazione totale), mentre in
Iran, nelle regioni del Baluchistan e dello Shatt al-Arab è riunita circa il
10% della popolazione sunnita totale. Entrambe le minoranze spesso vengono
accusate di essere al soldo della controparte e strumentalizzate per fare
pressione sui rispettivi governi centrali. Non a caso, Riyadh è stata più volte
accusata da Teheran di finanziare i gruppi sunniti di estrazione balochi dello Jundallah
o del Balochistan Liberation Army (BLA); viceversa l'Iran è imputata di
interferire nella vita pubblica di numerosi Stati del Golfo con forti minoranze
sciite, come Bahrain, Qatar, Yemen, Oman e, non ultimo, l’Iraq. La monarchia
saudita si sente minacciata dalla Repubblica Islamica che, fin dalla sua
fondazione, ha denunciato il suo rapporto privilegiato con gli Stati Uniti
contestandole, anche, il ruolo di guida politica e spirituale nel mondo
islamico, mettendone in dubbio, tra l’altro, il ruolo storico di custode dei
luoghi sacri all'Islam (le città sante di Medina e della Mecca). Allo stesso
modo, i Saud, temendo le aspirazioni egemoniche iraniane nella regione, hanno
più volte denunciato la minaccia e l'ingerenza iraniana nella vita politica
libanese, palestinese e siriana a causa anche delle storiche alleanze con
Hezbollah, Hamas e il clan alawita degli Assad, con evidenti ripercussioni
negli affari interni e nelle relazioni tra questi Stati.
La preoccupazione saudita risiede nel
fatto che un possibile espansionismo iraniano nella regione del Golfo potrebbe
essere sfruttato per modificare lo status-quo regionale a proprio favore. Di
fatti, l'alleanza di Teheran con vari movimenti di natura etnica e religiosa è
basata sulla volontà di cambiamento del sistema di equilibrio mediorientale.
Pertanto, risulta decisivo il ruolo di appoggio iraniano non solo alle
minoranze sciite dell'Arabia Saudita, dello Yemen e del Bahrein, ma anche
quello ai gruppi armati della regione. Inoltre, i dubbi sauditi
sull’atteggiamento anti-statunitense e anti-israeliano del Presidente iraniano
Mahmud Ahmadinejad – fautore di un controverso programma di sviluppo nucleare e
sospettato di voler dotare l’Iran di armi atomiche da utilizzare,
principalmente, contro Israele e lo stesso regno Saudita – non favoriscono la
distensione dei rapporti.
Ai dubbi sauditi si accompagnano i
timori iraniani per la propria incolumità, dovuti, invece, al ruolo dei
principali alleati dei Saud nella regione: Stati Uniti e Israele. Infatti, la
presenza statunitense nella regione – che tramite il dislocamento di forze
militari in territorio saudita e nel Bahrain –, spingono il governo di Teheran
ad avere un atteggiamento aggressivo in chiave difensiva. Inoltre, la solida
alleanza saudita con Israele – accusata per la sua altrettanto aggressiva
politica contro i Palestinesi e lo stesso Iran – genera critiche e tensioni,
inevitabilmente, anche nella penisola arabica.
In definitiva, i due Paesi propongono
due diversi schemi di sistema di potere regionale: l’Iran, infatti, predilige
un profilo più indipendente, aggressivo e ostile alle potenze filo-occidentali
accusate di portare disordine nella regione; l’Arabia Saudita, invece, opta per
un atteggiamento più conservatore e più discreto nei confronti delle potenze
dell’area poiché, pur perseguendo i propri obiettivi politici, è soprattutto
attenta a garantire i rapporti di forza tra le potenze attraverso l'arma degli
introiti petroliferi. In sostanza, l’Arabia Saudita deve gestire un complicato
intreccio di interessi, da cui dipende la sua sicurezza e quella dei suoi
alleati, ma allo stesso tempo deve mantenere buoni rapporti anche quei Paesi
ritenuti ostili come l’Iran per contenere le volontà aggressive di Teheran.
L’Iran, contestualmente, si muove su una duplice strada: il regime cerca di
miscelare il soft power – intromettendosi nella vita politica dell'intera
penisola arabica per rafforzare il ruolo delle popolazioni sciite locali – a
minacce di hard power – come le intimidazioni di annientamento dello Stato di
Israele o le congetture contro l'ONU e il mondo occidentale in genere. Questo
tipo di soft power non prevede l’uso della forza, ma può dare origine in alcuni
casi a scontri veri e propri, come nel caso dello Yemen o del Bahrain dove
l'appoggio iraniano alla causa Houthi in Yemen o degli sciiti bahreiniti ha
portato ad instabilità concrete per i rispettivi regimi. Nel caso del Bahrain,
il regime saudita ha inviato, dietro via libera del GCC (Gulf Cooperation Council),
proprie truppe in appoggio al governo della casa regnante sunnita degli
al-Khalifa. Questo atto è stato visto come un affronto da Teheran e come una
simbolica vittoria politica da Riyadh, ma non è assolutamente escluso che il
terreno di scontro non possa allargarsi anche ad altre aree. Il rischio di un
nuovo coinvolgimento del già fragile Iraq nelle dinamiche di scontro tra
sauditi e iraniani è concreto. A dare conferma a tali timori è il fatto che
al-Maliki e il suo instabile governo, che dipende pesantemente dall’appoggio
dello sciita al-Sadr (che controlla circa 40 seggi in Parlamento), si allontani
ulteriormente dalle posizioni filo-occidentali (e di riflesso saudite) e si
avvicini ancor di più alle istanze di Teheran.
Lo scontro, dunque, tra Iran ed Arabia
Saudita si inserisce appieno nelle complesse dinamiche mediorientali producendo
ripercussioni, di carattere geopolitico e geostrategico, anche a livello
internazionale. Il fatto che due potenze come Iran ed Arabia Saudita si trovino
in un tale stato di “guerra fredda”, dimostra come sia l’autoritarismo interno
sia l’aggressività verso l’esterno di entrambi non sembrano garantire nella
regione quella stabilità e quella sicurezza che l'area e il mondo intero
necessitano. Proprio questa dura lotta tra esigenze interne e aspirazioni
internazionali sembrerebbero far propendere come inadeguate entrambe le potenze
al ruolo di guida nella regione del Golfo e del Medio Oriente. Inoltre, questi
loro comportamenti potrebbero generare solo ulteriore fragilità nella regione. Pertanto,
la sfida in corso tra Arabia Saudita e Iran potrebbe trasformarsi nella più
grande sconfitta per l'intero mondo islamico qualora la contrapposizione
sfociasse in uno scontro globale tra Paesi sunniti e sciiti, con gli Stati
Uniti che sarebbero incapaci di contrapporsi ad una tale eventualità, e che
potrebbe aprire nuove inquietanti incognite nella regione.
* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università si Siena)
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