Una Peccatrice di Giovanni Verga: Storia di un Amore Proibito

Creato il 07 maggio 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Una peccatrice è un romanzo di Giovanni Verga pubblicato nel 1866 a Torino dall'editore Negro. Si tratta di un'opera giovanile dello scrittore siciliano che anticipa il tema dei "vinti", i personaggi vittime della vita che, in seguito, lo renderanno celebre. Il libro narra la storia di un amore impossibile: quello tra Pietro Brusio e Narcisa Valderi nella Catania sfarzosa di metà Ottocento. Lui studente di legge e aspirante scrittore, lei donna piena di fascino, appartenente all'alta aristocrazia e moglie del conte di Prato. Dopo averla vista, per caso, passeggiare ai giardini pubblici, Pietro si innamora perdutamente: "donna che vivea pei piaceri, della quale il lusso era il bisogno, come l'aria è il bisogno dell'uomo".

Il giovane, pur di ammirarla, frequenta gli stessi luoghi in cui la donna si reca: al parco, a teatro, la segue ovunque. Inizia a trascorrere le notti sotto i suoi balconi con la speranza di vederla anche solo per un istante, per poter incrociare il suo sguardo, ma l'oggetto del suo amore sembra irraggiungibile. Pietro è disperato: la contessa prima lo ignora, poi quando si accorge di avere un corteggiatore in più, lo tratta con disprezzo.

L'uomo demoralizzato comunque non cede e continua gli appostamenti trascurando gli studi e la famiglia. Viene a sapere che la sua amata si è trasferita a Napoli e decide di seguirla. Lì compone un dramma teatrale dedicato a lei: il Gilberto. L'opera ha un grande successo, ciò gli consente di superare le convenzioni sociali e d'introdursi in quel mondo aristocratico che fino ad allora gli era stato precluso. Narcisa va a vederla e comprende che è stata scritta per lei: "Quest'uomo io l'amo... poiché la sua celebrità è opera mia!... Opera di cui posso andare superba!...".

Dopo molte vicissitudini, finalmente, la contessa abbandona il marito e scappa con Pietro, ormai innamoratissima. Apparentemente sembra un idillio, fra i due esplode la passione amorosa; egli ha ottenuto l'amore della sua bella. Purtroppo, non sarà un rapporto destinato a durare, se non pochi mesi. Da questo momento in poi, fino alla fine, la storia prosegue con le lettere che i due protagonisti scrivono all'amico Raimondo Angiolini. Dagli scritti emerge che lui non l'ama più come un tempo, è stanco di quell'amore ossessivo e sfrenato: "Quello che io piango, Narcisa, è l'amore che ho provato e non posso più trovare... [...] Io avrei paura, rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di questo amore... [...] Io ho paura di ciò, Narcisa!...". Pietro lentamente, progressivamente si allontana da lei.

Un sentimento così elevato non è adatto alla quotidianità e la creatività del giovane, un tempo nutrita dalla disperazione dell'amore, ora svanisce. Narcisa è certa che Pietro non la ama più come prima perciò decide di avvelenarsi morendo tra le braccia impotenti dell'amato.

Dopo la morte della contessa, "Pietro rimase istupidito, come un pazzo: per un mese intiero". Un anno dopo ricompare in società ma, a causa del forte dolore, la sua intelligenza si è spenta: "Le splendide promesse del suo ingegno, che l'amore di un giorno aveva elevato sino al genio della sua anima fervente, erano cadute con quest'amore istesso. Pietro Brusio è meno di una mediocrità, che strascina la vita nel suo paese natale rimando qualche sterile verso per gli onomastici dei suoi parenti, e dissipando lo scarso suo patrimonio. Misteri del cuore!".

Analizzando il testo si riscontrano i segni dell'impersonalità: le lettere scritte dai protagonisti all'amico Raimondo rappresentano l'intenzione, da parte dello scrittore, di distaccarsi dando la parola direttamente ai due amanti che spiegano il finale drammatico della vicenda. Essi sono i precursori dei "vinti" delle opere dello scrittore siciliano, poiché entrambi trasgrediscono le regole del proprio mondo, per questo sono destinati al fallimento: l'uno è condannato a vivere nella mediocrità, l'altra alla morte.

Dietro Una peccatrice c'è un Verga giovane, romantico, passionale, influenzato dalle correnti filosofiche del tempo che, partendo da una vicenda autobiografica, scrive un romanzo tormentato in un crescendo di toni: dalla gioia autentica dell'innamoramento alla tensione derivante da una relazione scandalosa tra uno studente e una donna matura, disinibita, maliarda. È una passione che sale accendendo i cuori dei protagonisti e destando emozioni nel pubblico. Un racconto coinvolgente che porta il lettore indietro, in un passato lontano dove amore significava corteggiamenti, sguardi maliziosi, lettere, convenzioni sociali, tradimenti, illusioni, inganni.

Nello sviluppo della storia, sofferta sin dall'inizio, il lettore intuisce il tragico destino: la passione bruciante di Pietro per Narcisa porterà, necessariamente, alla fine crudele dei suoi protagonisti. Non c'è l' happy end, ma non poteva che essere così; la bellezza del romanzo non sta nel coronamento del sogno d'amore dei personaggi, bensì nel fluire dei sentimenti che si alternano e si rincorrono. Verga riesce a canalizzare tutti gli elementi in un flusso narrativo veloce, forte e concentrato. Le descrizioni del carattere dei personaggi nelle loro diverse sfumature, del loro amore, del paesaggio che lì circonda sono suggestive e degne di nota. Leggendo sembra di essere immersi all'interno della narrazione ed intense e "vive" sono le metafore. Il linguaggio è arcaico ma comprensibile; mentre lo stile è tortuoso, serio tuttavia non complicato. In conclusione, una lettura consigliata, un piccolo classico da riscoprire che, come spesso accade, riesce ad emozionarci più dei tanti romanzi contemporanei che invadono gli scaffali delle librerie.


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