Ancora non sono abituata a incontrarlo solo nel ricordo. E non so in che modo affrontare la bolla di sentimenti che si forma dentro di me. Sta crescendo vistosamente dietro alle costole come se lì il sangue ristagnasse coagulandosi in un grumo. Allora controllo il respiro per non lasciarla esplodere. E non faccio altro che piangere. Nella speranza di riuscire più facilmente a dimenticare mio fratello, mi immergo nel ricordo della sua quieta camera di ospedale.
Le due protagoniste sono accomunate, oltre che dalla dolorosa esperienza della separazione, da una sensazione di inadeguatezza e da rapporti complicati con la società e con l'altro. Quasi ossessionate dai più insignificanti dettagli, si rifugiano in uno spazio chiuso in grado di allontanarle dallo sporco dell'esterno: l'asettica stanza di ospedale diviene così un mondo parallelo, in cui "sembra di diventare un angelo o una fata", mentre la casa in cui Nanako ha vissuto per anni con la nonna le restituisce una sensazione quasi fisica della sua assenza.
A volte i luoghi assumono una valenza speciale per l'anima: sono riparo dalla solitudine, ma anche nido al quale tornare per trovare conforto. Sono le persone che abitano quei luoghi a renderli dimora del cuore, e dopo il distacco non resta altro che una stanza spoglia, quattro mura insignificanti.
La scrittura di Yoko Ogawa si sofferma sui particolari, sulle più impercettibili variazioni dei sentimenti, e sembra lo scorrere sereno di un fiume sul cui fondale si scontrino correnti tumultuose: leggerla provoca una piccola fitta dentro, come essere colpiti con un sottile stiletto.
Voto: ★★★★/5