Il nuovo film parla di riscatto, quello di tre “ex”: un prete spretato (Papaleo), una prostituta in pensione (Bobulova) e un marito ‘abbandonato’ (Scamarcio), in un paesino non ben identificato del Meridione. A queste tre storie, che già erano importanti da gestire e approfondire bene, Papaleo aggiunge ulteriore sostanza inserendo altri sei personaggi (la mamma Giuliana Lojudice, la coppia lesbo Felberbaum-Potenza, e i 3 muratori della ‘srls’ Meridione che ristruttureranno il faro dove tutti si ritroveranno a vivere). La conseguenza di una così considerevole presenza umana addensata in 90 minuti è che, purtroppo, le storie principali si lasciano in disparte per dare ossigeno anche alle secondarie, facendo mancare, alla fine, sia le une che le altre. Gli attori sono molto validi (Scamarcio soprattutto, e il revival di sé stesso che romba la grande moto come ai tempi di Tre metri sopra il cielo sancisce la rinascita di un ormone adolescenziale), e forse “sprecati” in ruoli che non vengono molto valorizzati dalla sceneggiatura (scritta da Walter Lupo), limitata appunto proprio perché ridondante.
Il buonismo di fondo e anche la voglia di strafare (l’indugio decisamente lungo sul bacio-casto-lesbo) si incrociano laddove in realtà dovrebbero essere inconciliabili e si vanificano nell’uno e nell’altro senso, privando di compiutezza anche gli episodi più sentiti, o che comunque dovrebbero fare da giri di boa nella trama (la morte e il funerale del padre di Scamarcio, il finale con la ‘conversione’ di mamma Stella).
Il commento musicale è molto simile a quello tatro-canzonistico di Basilicata, e decisamente importante come nel già citato; uno dei momenti più emozionanti finisce per essere quello in cui un malinconico Scamarcio che non riesce a suonare di fronte a un pubblico riconosce ritmi musicali nel cadere della pioggia.
Messa in scena e fotografia molto belli, uniti alla scelta dei paesaggi: la finzione cinematografica e le mani sante delle film commission fanno diventare le coste dell’oristanese, in Sardegna, un Meridione, si presume, lucano o calabrese.
Insomma, è evidente che il buon Rocco ce l’ha messa tutta, e forse anche di più mi verrebbe da dire, ma la spontaneità e la freschezza del primo film sono ormai cose del passato.
Archiviato in:cinema, recensione, Senza categoria