Lindqvist sarà sempre quello di Lasciami entrare, e poco importa che la sua carriera sia stata un’impennata continua (tra l'ottimo L'estate dei morti viventi, la bellissima raccolta Muri di carta e il fascinoso Il porto degli spiriti), il suo esordio è una botta che risuona ancora con un certa intensità tanto che Una piccola stella esce quasi sottotono tra i mille gialli svedesi che ogni giorno vanno e vengono dalle librerie, mi sembra, boh, se ne sia parlato poco ed è un vero peccato, non si tratta di un nuovo caposaldo del terrore, a dire il vero non si può nemmeno parlare di horror, siamo in territori vicini ma assai pericolosi, zone in cui un autore ha ragione di muoversi a patto di farlo con piedi felpati e mosse delicate, troppo facile cadere in tranelli o eccessive ambizioni e far crollare tutto.
Il concetto è quello del male, che sovrasta, avvolge, frulla e sputa fuori una feroce riflessione sulla mancanza di comunicazione attraverso gli occhi di Theres, ragazzina autistica dotata di una voce particolarissima che viene trovata in un bosco e cresciuta in segreto da una coppia di ex popstar svedesi: l’innocenza, il biancore con cui viene educata la piccola assume toni da horror grottesco in molti punti (la spiegazione di cosa ci sia fuori, le motivazioni degli uomini), e gli improvvisi squarci di ultraviolenza vengono giustificati, di più, vengono negativamente esaltati proprio dalla trascurata facilità con cui la mente della bambina prende forma. E il romanzo gioca continuamente su questi toni, alternando un’impossibile normalità (il rapporto con il fratello Jerry, il piacere della musica, la progressiva presa di coscienza di se stessa), esagerandola e narrandola con stratagemmi di un genere, l’horror, che si sentono forti e importanti (la ferocia sanguinaria, il crescendo di follia, il plasmarsi delle atmosfere), interrogandosi su quali siano realmente i semi di una devianza. Sono temi difficili, possono ricordare un Jack Ketchum ma senza quel retrogusto nostalgico o quella mortificante amarezza, Lindqvist è schietto e sincero, è aperto e trasparente, il suo è uno stile chiaro, pulito, di una scorrevolezza lessicale eccellente, capace di raccontare con lo stesso, disturbante, devastante tono di classifiche musicali degli anni settanta e di omicidi violentissimi, a tratti anche insostenibili proprio per la naturalezza con cui la sua penna, e di conseguenza il pensiero di Theres, mette in piedi e attua tali efferatezze.
C’è molto, molto altro in Una piccola stella, l’amicizia che si crea con una coetanea, tipica emarginata che cova una misantropia terribile, raggiunge momenti di realismo impressionanti: il delirio con cui Teresa si invaghisce di Theres tanto da divinizzarla fino allo stremo delle proprie forze fisiche e mentali è materiale delicatissimo e di una sensibilità di ostica padronanza, eppure Lindqvist delinea personaggi veri, li fa parlare in maniera semplice e naturale, e li fa crescere con una freddezza che assume toni ancora più glaciali se consideriamo il calore delle personalità che li circondano. Ma è tutto programmato, serve percorrere simili binari per arrivare alla catastrofe finale, una manciata di pagine, non di più, per quanto potessi preferire una maggior insistenza su motivi, strategie e valori, con cui Theres e Teresa distruggono ogni cosa.