Una poesia senza parole, che faccia rima…

Creato il 10 gennaio 2012 da Cultura Salentina

James E. Buttersworth - Nave nella tempesta

di Lele Mastroleo

… guardò lontano e vide il cielo arrivare sino alla fronte. Spostò i capelli dalla parte giusta, lì dove non si notava il peso degli anni. Colpì con forza quella sbarra di legno che gli impediva lo sguardo e mise a dormire tutti i pensieri. Dove siete stelle della notte che ancora non avete imbiancato il cielo in questa sera di poca febbre, sera salentina di solo mare e di malaverna? Il capitano si fermò un attimo con il palmo della mano aperta sugli occhi, vedeva all’orizzonte le nuvole trasformarsi in strane figure. Gli ricordavano le statue della villa comunale dove era cresciuto: il cavallo, il poeta, il sindaco, il medico… tutti bianchi e tristi. Senza espressione:

- “chissà perchè“- pensava il capitano,

-”le statue dei personaggi sono tutte così poco allegre? Forse sarà la morte che appiattisce tutto e siccome, la morte stessa sa di essere una cosa seria, allora non fa più ridere nessuno“.

–“Capitano, ovunque volga lo sguardo mi appare l’inverno. Mio Capitano, dovreste rimettere la rotta e raccontarci della isola madre”, chiese Mecu con voce sottile con addosso la paura di ferirne i sentimenti .

- “Io vedo solo una rondine che vola. Una rondine che si è persa all’orizzonte e in questa notte che arriva così in fretta una poesia con due sole parole vorrei sentire. E che faccia rima con la mia vita. Quanti giorni son passati Mecu e quante volte mi hai proposto questa domanda? E se devo dire la verità non lo so quanto tempo rimane alla ricerca e quanta rotta ci dovrà destinare il sole prima di arrivare all’isola madre”.
Cento lune erano ormai passate sulle loro teste e su quel trialbero di pezza e legno che il duca-re gli aveva preparato per recuperare in mare la statua di Santu Nicla, che i Venetiani avevano regalato alla città, in segno di pace, dopo la tremenda guerra che aveva macchiato di sangue e fiele la collina del Serpente e che mille e mille animae aveva tratto a sé nell’inferno.

Era scoppiato un incendio in cambusa e furono costretti a buttare in mare, tutto quello che poteva aumentare la lingua di fuoco, che si era creata. Ed appena la notizia arrivò al castello, il duca-re decise di organizzare una nave con un gruppo di esperti marinai per poter recuperare la statua del Santu. Toccò il comando del gruppo al giovane comandante ed il duca-re non volle farsi ingannare dalla dolcezza del viso del giovane e ritenerlo di conseguenza inesperto. Aveva già preso tutte le informazioni su quel ragazzo ed in cuor suo sapeva che era la persona più giusta per ottenere quello che si era prefissato.

-“Dove siete onde del mare che increspate i ricordi e fate ammaliare le sirene di questa assurda notte, dove avete messo il timone del tempo e dove dirottate la memoria degli uomini?”.
Era rimasta la luna a disfare le vele di canapa e cotone in quel buio di sale e vento che fa salire il calore e il coraggio e rende tutti eroi. Il capitano rimise in fretta la giacca sulle spalle ed uno strano brivido di freddo gli attraversò il corpo e decise all’improvviso di cambiare rotta.

-“Mecu, Mecu”, urlò con forza quasi avesse una febbre gialla che lo stesse divorando, -“dai Mecu, bisogna cambiare immediatamente rotta,viriamo di una mezza barca e prendiamo sottovento che stanotte il cielo è malato”.

-“Capitano, mio capitano, così andiamo a perderci, sottovento senza rotta e rischiamo di dover far mattina ad issare e calare prima di capire dove siamo”.
-“Fate come vi dico. Io vado a dormire un paio d’ore. Tieni all’erta tutto l’equipaggio, che stanotte ci sarà da spazzare dal ponte tutta la polvere di Dio”.

Mecu non ebbe il coraggio di aggiungere nulla ma sentì un improvviso brivido tagliarli in due la gola e svuotargli tutto il sangue dalle arterie. Quante notti ancora, Iddio, devi raccontare alla morte, questa storia dei figli tuoi, che fai navigare su barche di cartone e colla di coniglio e fai affondare le illusioni appena si fa giorno? Dove hai messo, quella notte, le anime di venti ragazzi che salparono per sfidare il mare e guadagnarsi, il pezzo di pane e vino che fa ancora respirare e che hai voluto portare con te in quella porca notte di agonia e dolore? In quale paradiso li hai illusi e in quale isola madre hai appoggiato quelle carni di incoscienza e fatica? Sembra di vederli, quegli uomini piccoli, combattere contro quella furia bestiale, del tuo maledetto mare, che quella misera notte pensasti bene di mandargli ad accarezzare i fianchi della nave e a strappargli le vele e farli morire, con negli occhi,l’immagine delle prime colline della loro terra che stavano per riabbracciare.

-“Siamo piccoli marinai e piccoli uomini”, disse Mecu prima di morire, “e Iddio ha deciso di farci sentire la bonaccia prima del tempo. Chissà se ci sono le barche dove andremo”.
- “Io vedo solo una rondine che vola, Mecu. Una rondine che si è persa all’orizzonte e con questo buio che arriva così in fretta una poesia senza parole vorrei sentire … e che faccia rima anche con la morte”, rispose il giovane capitano


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