Una porta per l’Inferno in Turchia

Creato il 02 ottobre 2014 da Mcnab75

Questa chicca l’ho scoperta in fase di documentazione per un racconto spin-off di Biondin all’Inferno.
Cercavo delle informazioni su dei siti archeologici un tempo ritenuti ingressi per l’Oltretomba. Ce ne sono parecchi anche in Italia – basta pensare ai vari antri delle sibille e a luoghi del genere.
Il posto di cui vi parlo oggi si trova però in Turchia, in una grotta naturale vicino all’antica città di Hierapolis. Tale cava era conosciuta nell’antichità come “Porta di Plutone”, proprio perché veniva ritenuta come uno degli ingressi all’Ade, l’aldilà della tradizione greco-romana.
Nei pressi della grotta sono state recentemente trovate due statue. Esse raffigurano rispettivamente un grosso serpente (simbolo ctonio e ultraterreno) e Cerbero, il cane a tre teste, guardiano degli inferi.
Il serpente è avvolto sulle sue spire e pare minacciare chiunque osi avvicinarsi, mentre il cerbero ha il corpo scolpito nelle forme di un cane pastore dell’Anatolia.

Da tempo gli archeologi avevano rimesso mano all’area, ricca di elementi che lasciavano intendere un culto dedicato al mondo dei morti e all’Oltretomba. I loro sforzi non sono stati vani.
Gli scavi hanno tra l’altro rivelato altri fonti termali – l’intera zona ne è ricca – confermando che un tempo quest’area era meta di pellegrinaggi, sia per questioni religiose che per questioni di salute.
Le due statue erano immerse quasi per intero nelle acque termali e dietro di esse c’era la grotta vera e propria, la Porta di Plutone. Alcuni resoconti dell’epoca descrivono quest’area delle sorgenti come “ricche di vapori mefitici”.

“Lo spazio è riempito da un vapore fitto e scuro, così denso che il fondo difficilmente può essere individuato… Gli animali che vi entrano… muoiono all’istante” (…) “Anche i tori, quando sono portati al suo interno, cadono a terra e ne escono morti. Noi stessi gettammo dentro dei passeri, e immediatamente caddero a terra senza vita”. (citazione del geografo greco Strabone (64-63 a.C. – 24 d.C.).

Gli archeologi hanno stabilito che questa grotta, non utilizzata come parte delle terme, era impregnata di diossido di carbonio. I sacerdoti della dea Cibele, a cui la cava era consacrata, mandavano avanti i loro servi eunuchi per compiere i sacrifici alla Dea, mentre loro assistevano all’esterno della grotta, in preghiera e contemplazione.
Leggenda vuole che proprio gli eunuchi fossero in grado di sopravvivere ai veleni del tempio. In realtà venivano addestrati per trattenere il fiato per tutto il tempo necessario a celebrare i sacrifici (solitamente a base di tori da sgozzare) senza morire soffocati dal diossido.

I pellegrini che dormivano all’esterno della grotta – che a quei tempi ovviamente non era sommersa totalmente dalle acque – avevano spesso visioni e profezie. Esse vengono ora imputate proprio ai gas che fuoriuscivano dal tempio, non letale all’aria aperta, ma comunque sufficiente per provocare allucinazioni di vario genere.

Il culto di Cibele venne proibito attorno al V secolo d.C., quando anche l’accesso alla grotta venne vietato. Ciò nonostante non pochi pellegrini continuarono a recarvisi in gran segreto, in cerca di benedizioni, di vaticini, e di una vicinanza con quello che ritenevano fosse l’ingresso al mondo dell’aldilà…

L’area termale di Pammukale.

PS: A proposito di Turchia, colgo l’occasione per pubblicizzare l’ebook Da Istanbul ad Antalya, impressioni di viaggio. Una guida agile ma esaustiva sulle tappe fondamentali di una vacanza in Turchia, con un capitolo dedicato proprio a Pammukale, località di cui vi ho parlato nell’articolo di oggi. L’autrice è Emanuela Biollo, col supporto di Cristiano Pugno.

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(A.G. – Follow me on Twitter)


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