di Alessandro D’Amore
Nella vita di un laureato in archeologia arriva sempre un preciso momento in cui si riesce a capire davvero in che guaio ci si è andati a cacciare. Questo momento coincide con una domanda: «Cosa fai nella vita?».
Il dramma non sta nella domanda in sé – e neanche nella risposta – quanto piuttosto nelle due possibili riposte dell’interlocutore.
Risposta 1: «Wow, che bello! Anche io da piccolo volevo fare l’archeologo/a, poi però ho scelto di studiare altro… (e sappiate che in quei puntini di sospensione si sottintende “discipline serie e degne di questo nome come ingegneria/architettura/medicina e guadagnare 2000 euro al mese alla faccia tua!”).
Risposta 2: «Aaahhh, che bello! … (pausa) … Ma quindi che fai? Cioè praticamente, dico…».
Ecco. Parlavo proprio di questo momento.
Quanti di voi si sono sentiti rispondere così? Quanti si sono trovati in seria difficoltà a far capire alle persone ciò che fa un archeologo e soprattutto l’utilità del nostro lavoro?
Per la mia esperienza, l’archeologia per l’italiano medio si riduce a morti e templi: «Quindi stai tutto il giorno inginocchiato con un pennellino a spolverare le ossa dei morti?», oppure: «Ma tanto in Italia i templi li hanno già scoperti tutti».
Ma la svolta, ciò che mi fece capire quanto lontana era la nostra professione dal resto del mondo, si concretizzò in due episodi.
Episodio 1: visita in scavo di scolaresca. Spiegazione accattivante, pubblico rapito e attento. Domanda: «Ma perché i Romani hanno sotterrato tutte queste cose?».
Episodio 2: scavo archeologico in area urbana. Limite di scavo. Mamma e figlia osservano i lavori. Figlia: «Mamma, che fanno quei signori?». Mamma: «Lavorano. Vedi, cara, se non andrai bene a scuola, farai la loro stessa fine».
Lascio trarre le conclusioni a voi.
Ma la mia domanda è: siamo noi che non ci siamo fatti (e non ci facciamo) capire oppure manca del tutto un’educazione e una coscienza archeologica?
La risposta potrebbe essere scontata, ma non ovvia.
Fonte: http://leparoleinarcheologia.wordpress.com/
illustrazione di Domenico Sicolo