Ecco, se anche voi superate la resistenza del titolo o se invece magari siete attirati proprio dal titolo, sappiate che questo libro finisce per essere una lettura “arricchente” per un motivo semplice e originale: non vi troverete favolette o storielle trite sulla povertà. Sarete avvicinati da una prosa che evita facili piagnistei e guarda coraggiosamente in faccia la nostra condizione, i nostri desideri, le nostre paure in relazione al tema fondante della povertà e al neanche tanto velato terrorismo che si insinua in qualsiasi occorrenza della parola denaro. Marco Rovelli, nella nota iniziale, ricorda il “discredito sul denaro” che secondo Simone Weil avrebbe potuto essere la leva di una nuova stagione. Senza necessariamente parlare di discredito, basterebbe riscoprire la natura del denaro, il suo piano denotativo di “moneta di scambio” prima ancora delle incrostazioni delle sue connotazioni menzognere. Ragionare in modo molto “spiccio” sul denaro, questo forse basterebbe. Semplicemente risalire al motivo della sua nascita. Aggiungerei riscoprire persino le virtù di una scienza oggi tanto demonizzata, la finanza, che invece dovrebbe ritornare a essere linfa e non droga. Avremmo dovuto partire a far questo molto tempo fa, prima che persino un gruppo rock arrivasse a cantare “Money it’s a crime / Share it fairly but don’t take a slice of my pie / Money so they say / Is the root of all evil today / But if you ask for a rise it’s no surprise that they’re giving none away…”. La chiave del ragionamento non è tanto nel denaro allora, ma nel riconoscere la complessità che muove da quelle due parole richiamate indirettamente anche dal titolo. Povertà e felicità. Potremmo ripartire anche da Seneca, se volessimo, e non basterebbero 10 modi, 10 anni, 10 tesi a restituire questa complessità che anche questo saggio, nella sua brevità, prova felicemente a scandagliare.
ALBERTO CELLOTTO