Sarà una serie di post di critica ed analisi delle fonti storiche che ho già presentato in precedenza, dimodoché qui indicherò dei rimandi, limitando al massimo le citazioni esplicite. Ciò è motivato soprattutto dalla lunghezza che ciascun post può avere senza tediare il lettore, l'esigenza è quella di presentare una materia articolata e complessa in uno spazio abbastanza ridotto.
Mi farebbe dunque immensamente piacere che voi lettori commentaste apertamente se il formato che ho scelto è di vostro gradimento: i suggerimenti non potranno che migliorare il blog.
Ma passiamo immediatamente alla storia e ad inquadrare il momento dell'assedio romano a Neapolis.
Nel 328 a.C. Neapolis era la città più importante del Sinus Cumanus (quello che oggi è chiamato Golfo di Napoli prendeva il suo nome latino dalla prima polis fondata nella zona), altrimenti detto Krater in greco (dalla forma di coppa).
Delle città raffigurate nella mappa, Cuma era stata recentemente (334 a.C.) presa dai Romani ai Sanniti che l'avevano occupata nel 421 a.C.; Puteolis (già Dikearchia) era caduta in mano Sannita nel 421 a.C. e poi Romana insieme a Capua (338 a.C.); Herculaneum, Pompeii e Stabiae erano Sannite dopo essere state fondate dagli Osci per poi essere prese dagli Etruschi; se Surrentón era in mano Sannita, conservava orgogliosamente tutta la propria grecità.
Pithekusse (Aenaria per i Romani, Ischia ai nostri giorni) era Neapolitana da centovent'anni, ed anche Capreae (Capri) lo era. Ciò vuol dire che nel Sinus Cumanus esisteva un'unica potenza navale, e questa era Neapolis.
In questo particolare momento storico, due sono le potenze che si contendono il controllo militare della Penisola: Roma ed il Sannio. Già scontratisi tra il 343 ed il 341 a.C. in una serie di battaglie che apparentemente videro vittoriosi i Romani, entrambi i contendenti erano totalmente a digiuno di arti marinare, né le loro economie dipendevano alcunché da mercati o traffici.
La ricchezza di Neapolis, una polis greca che invece dal mare e dai traffici traeva tutta la propria sussistenza, doveva essere per Romani e Sanniti a dir poco prodigiosa.
Ma un attacco diretto a Neapolis non era probabilmente nelle intenzioni di alcuno: a fronte di un'opportunità di bottino, aggredire Neapolis corrispondeva ad inimicarsi molte delle altre polis greche della penisola le quali, se pure non disponevano di un gran numero di uomini da mettere in campo, vantavano un temibile addestramento marziale, abbastanza denaro per sopperire con mercenari alla scarsezza di effettivi ed erano ancora unite da alleanze la cui base era stata gettata dalla Lega Italiota.
A ciò si aggiunga che tra Neapolis e Roma erano già in vigore diversi trattati, anche commerciali e di scambi (sebbene ciò conti poco: Roma aveva simili trattati anche coi Sanniti, e cercò in tutti i modi una via che spingesse i Sanniti a romperli), ma tra i Sanniti e Neapolis c'era ben di più.
Intorno al 420 a.C., col fine di allentare la pressione sui propri confini, Neapolis aveva accettato di ospitare una colonia di Sanniti. Sembra che questi godessero degli stessi diritti dei cittadini greci, al punto che uno dei due massimi magistrati della polis era egli stesso sannita.
Unica nota da aggiungere, Neapolis era probabilmente il principale centro d'arruolamento di mercenari Campani dell'epoca.
Nel 329 a.C. i Romani decidono di rompere ogni indugio: il trattato tra Roma ed il Sannio prescriveva che nessuna delle due parti avrebbe ri-fondato le proprie colonie nel territorio al di là del confine tracciato dal fiume Liri. Probabilmente con la speranza di ricevere un'aperta dichiarazione di guerra, i Romani ri-fondano una città Volsca distrutta dai Sanniti nel territorio di questi ultimi: Fregellae.
I Sanniti non ci cascano, al contrario espongono la questione ai “comuni amici” di entrambi i contendenti. Nondimeno, una serie di aggressioni Sannite comincia a colpire l'Ager Campanus ed il Falernus (le attuali zone intorno a Capua ed al vulcano di Roccamonfina). A sentire Livio, ma anche Dionigi d'Alicarnasso, tali incursioni partono da Neapolis e sono dirette contro gli alleati ed i soggetti dei Romani, i quali rispondono inviando un'ambasceria alla polis.
Le versioni dei due storici sono alquanto diverse e, vista la dichiarata partigianeria del padovano, dobbiamo tenere in estrema considerazione le differenze col testo del greco. Il messaggio degli ambasciatori romani (feziali secondo Livio, quindi la guerra sarebbe praticamente già decisa a Roma) è: “astenetevi da azioni aggressive, vi offriamo rapporti commerciali privilegiati”, ma ricevono una risposta brusca. Dionigi dettaglia meglio i fatti, non parla di feziali, ma di veri e propri ambasciatori inviati con lo scopo di sedurre il partito filoromano, e la risposta brusca è una dichiarazione di guerra promossa dal partito filosannita in maniera assai poco ortodossa durante una concitata riunione dell'ekklesia.
A ben vedere, la versione dello storico greco convince di più: Neapolis non aveva nulla da guadagnare nell'aggredire i territori sottoposti a Roma, al contrario poteva solo perderci economicamente e militarmente, ed è solo quando viene stuzzicata la popolazione Sannita con assurde richieste (gli ambasciatori avrebbero dovuto convincere i Neapolitani a “ribellarsi ai Sanniti”) che i “Greci” offrono una risposta adirata… Immagino che fareste lo stesso se qualcuno venisse a casa vostra a dirvi di cacciare di casa vostro fratello!
Quando Neapolis ebbe dichiarato la guerra, Roma rispose inviando due eserciti: il primo ad assediare Palaepolis, l'altro per bloccare eserciti Sanniti che scendessero dalle montagne.
E così siamo giunti all'inizio del bellum neapolitanum che fa da sfondo a Neapolis - Il Richiamo della Sirena. Non andrò oltre: la storia delle due città (l'assedio è dichiarato alla sola Palaepolis, ed il trionfo finale sarà contro i Palepolitani) è un po' ambigua e merita spazio che in questo post è ormai terminato.
Vi dò pertanto appuntamento al prossimo post, l'anno prossimo, vi aspetto!