La rivista Granta, che porta il nome del fiume che lambisce la città di Cambridge, fu fondata nel 1889 da alcuni studenti della celebre Università. Nel corso degli anni ha ospitando sulle sue pagine scritti di Sylvia Plath, Saul Bellow, Raymond Carver, Bruce Chatwin, Nadine Gordimer, Milan Kundera, Doris Lessing, Ian McEwan, Gabriel García Márquez, Salman Rushdie. Su Granta sono comparsi anche i primi lavori di Arundhati Roy. Visto il successo e l’autorevolezza della rivista, ad essa negli anni ’80 venne associata un’antologia che selezionava narratori britannici, ora divenuta quasi mitica; in seguito se ne editarono altre due dedicate agli statunitensi ed ancora due ai britannici. Da qualche anno la rivista vanta anche una versione spagnola, diretta da Valerie Miles e Aurelio Majors. In questo nuovo quadro, per la prima volta Granta propone un’antologia dei migliori scrittori giovani che si esprimono in una lingua diversa da quella inglese: lo spagnolo. In essa compaiono 22 scrittori al di sotto dei 35 anni che hanno pubblicato almeno un’opera, alcuni noti ed altri meno, pochi tradotti in inglese. Il numero è uscito quasi simultaneamente sia in spagnolo che in inglese. I giovani sono stati selezionati da una commissione composta dallo scrittore argentino Edgardo Cozarinsky, lo scrittore guatemalteco di espressione inglese Francisco Goldman, la giornalista britannica Isabel Hilton e la critica catalana Mercedes Monmany, oltre ai direttori di Granta en español. La selezione finale, che reputo rigorosa, evidenzia la preponderanza di nomi argentini (8) e spagnoli (6), tutti gli autori sono di ottimo livello e presentano caratteristiche interessanti, chi per la trama e l’intreccio, chi per lo stile, chi per i temi trattati, chi per tutti questi elementi assieme. La letteratura messicana e colombiana, che negli anni del boom spiccavano rispetto alle altre del Continente, sono ora rappresentate da un autore a testa: Antonio Ortuño con Boca pequena y labios delgados e Andrés Ressia Colino con Escenas de una vida confortable.
Nella narrativa degli spagnoli spicca la fascinazione per le mutazioni dello spazio urbano, per il significato simbolico degli elementi architettonici e per l’influenza che essi esercitano sull’animo e sull’umore dei personaggi. I protagonisti che si avvicendano nei diversi racconti mantengono sostanzialmente un atteggiamento passivo, da osservatori esterni dell’ambiente circostante e del proprio mondo interiore, risultando sempre sottilmente permeati da un margine di alienazione. Significativi in questo senso sono Eva y Diego di Alberto Olmos e La vida de Hotel di Javier Montes. I caratteri della prosa e dello stile del boliviano ventinovenne Rodrigo Hasbún, il più giovane della selezione, emergono efficaci ed accattivanti. Il racconto El lugar de las pérdidas pecca un po’ di autobiografismo mascherato, ma si fa abbondantemente perdonare con un incalzare di sensazioni ed elugubrazioni geniali e sommamente poetiche: velocità e ingenuità scanzonata contrapposte ad una consapevolezza depressiva in salsa cosmopolita, rappresentative della sua generazione. Il risultato è un miscuglio ben riuscito ed originale. E’ bene sottolineare che la giuria stessa ha dichiarato di aver voluto selezionare non tanto le opere, quanto gli autori a loro avviso più promettenti; ciò che si trova nell’antologia non sono dunque necessariamente gli scritti migliori, ma gli autori che hanno maggiore possibilità di farsi notare in futuro. Ho trovato splendido anche lo stile narrativo di Lucia Punzo in Cohiba, sebbene il racconto si chiuda con un finale ai miei occhi vagamente sbrigativo. Il peruviano Santiago Roncagliolo propone Barras y estrellas, un racconto piano, semplice ma solido, in cui si avverte una vaga influenza del giovane Vargas Llosa e di José Emilio Pacheco. Infine cito Formas de volver a casa del cileno Alejandro Zambra, intanto perché il titolo mi risulta molto attraente, poi perché è uno dei pochi racconti che si dispiega intorno ad un fatto storico: il terremoto del 1985, arrivando a citare perfino Augusto Pinochet. In effetti questi scritti sono per lo più concentrati in episodi intimi, sentimenti privati, poco inclini a farsi avvolgere da un presente storico in cui i personaggi, per mantenere veridicità, non possono credere più.
Ho l’impressione che gli autori si rifugino nell’intimità, non tanto per elevarla a spazio mitico di salvezza, quanto per fissarla, indagarla analiticamente e constatare se esiste ancora una possibilità di sopravvivenza priva di nevrosi, oppure di felicità se si preferisce, quanto meno in quell’ambito, dal momento che lo spazio pubblico non aderisce alle loro realtà, ma suona solo come una rappresentazione sullo sfondo delle vite rappresentate.