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UNA RIVOLUZIONE, SE DIO VUOLE | Il nuovo romanzo di Alessandro Golinelli

Creato il 25 giugno 2014 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

alessandro_golinelli_una_rivoluzionedi Massimiliano Sardina

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Una rivoluzione, piccola o grande che sia, non coinvolge mai soltanto, e indistintamente, una collettività, perché ad esserne travolte ci sono le singole interiorità, le singole storie, ciascuna a suo modo chiamata a una riformulazione. La rivoluzione si innesca e esplode quando l’insofferenza, la sopportazione e il disagio sono al culmine, ed è in questo punto di non ritorno, in questo confine instabile che si scrive la Storia, il presente e il futuro di un Paese, i destini di migliaia e migliaia di persone. La rivoluzione raccontata da Golinelli è quella che ha portato alla caduta di Mubarak nel 2011. Nel frenetico e incessante zahma del Cairo le frange più disagiate della popolazione insorgono contro la polizia locale sguinzagliata dal tiranno di turno, una rivolta che non tarda a sfociare nel sangue. Ne farà le spese il giovane egiziano Ismail, aspirante attore ma di fatto guida turistica di un gruppo di italiani alloggiati all’Al Qamar, in un villaggio ecologico sul Mar Rosso. Certo, nel pacchetto delle due settimane di vacanza la rivoluzione non era compresa. I primi giorni trascorrono tranquilli, tra visite alle piramidi, escursioni sui cammelli e immersioni nella barriera corallina, tutto come da copione; la rivoluzione irrompe per gradi, veicolata da Al Jazeera, da internet o da quanto riferito dalla guida e da altri egiziani. In altre parole, la rivoluzione non resta sullo sfondo (lontana quanto basta a garantire gli agi contemplati nel pacchetto vacanza) ma preme con maggiore o minore intensità sulle vite dei villeggianti.

C’è Riccardo (un medico e scrittore di romanzi gialli in piena crisi creativa) con la moglie Sara (un’imprenditrice, ex impiegata di banca); c’è Bruno (un instancabile uomo d’affari sempre col computerino in mano) con la moglie Elsa e il piccolo Alessandro; c’è Tania (ex produttrice televisiva in cerca di un riscatto professionale, ora quasi costretta a doversi vendere la casa) con l’amica Adele (avvocata rampante e libertina); e c’è il giovane adolescente Youssef, un cameriere dell’hotel, che penetrerà come un raggio di luce nel cuore del piccolo Alessandro. Gli eventi, tanto improvvisi quanto violenti, agiscono prepotentemente su tutti i personaggi che da turisti diventano prima spettatori e poi protagonisti. Il dramma collettivo scorre parallelo a quello privato, e quando il gruppo realizza d’aver perso la sua guida lo smarrimento è totale; Ismail è quasi una figura simbolica, un ponte tra il caos di Piazza Tahrir e la calma apparente dell’hotel Al Qamar. In Oriente come in Occidente la rivoluzione è uguale dappertutto: da una parte il dittatore (faraone di ieri o presidente leader premier di oggi) e dall’altra chi subisce la dittatura. Bella, efficace, l’immagine delle piramidi che Golinelli inquadra, quasi cinematograficamente, come simboli della solitudine del potere. Immobili, millenarie, alle loro spalle hanno il deserto e al loro interno trattengono il vuoto, contraltare di quel brulichio esterno che

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anima la metropoli cairota. «…Poiché lo zahma, lo spirito del Cairo, dell’Egitto, del mondo arabo, nient’altro è che la paura del vuoto. Il timore che ogni arabo ha della solitudine. Per questo un arabo passeggia sempre in coppia o altrimenti chiacchiera al cellulare, ha una religione che riempie con ben cinque preghiere l’intero arco della giornata e se entra in una sala da conferenza si siede sempre vicino a altri.» Un proverbio arabo, non a caso recita: il vuoto fa strada al pieno.

E nel nostro Occidente che posto occupa il vuoto? Come lo si esorcizza? Viaggiando forse? Nulla è più kitsch e fuori luogo di un turista, e Golinelli lo sa bene; se poi il cavolo a merenda fa capolino nel pieno di una rivoluzione allora la decontestualizzazione si fa più stridente e marcata. Anche il turismo stesso si presta qui, a mio avviso, a una lettura simbolica: un malcelato nomadismo emotivo alberga in tutti i personaggi, proiettati in un altrove che non coincide, se non parzialmente, con le condizioni attuali. Il turista è fuori luogo, è vacante come lo è la precarietà diffusa dei nostri tempi, insieme rivoluzionari e rassegnati. Riccardo cerca il suo romanzo, Tania la sua trasmissione, Bruno il suo investimento, Ismail il suo palcoscenico, Alessandro il suo amico del cuore…, e se il presente è incerto ancor di più lo è il futuro. La distanza chilometrica dalle rispettive vite induce tutti a tracciare un bilancio, a fare il cosiddetto punto della situazione e ciascuno, chi in un modo chi in un altro, rincaserà profondamente segnato, rivoluzionato. «Per il resto – conclude l’autore – il futuro, come il passato, appartiene alla Storia. A noi resta l’istante sempre più breve che ci ostiniamo a chiamare presente. »

Massimiliano Sardina

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