Giovedì sera ero al Nuovofilmstudio e mi aspettavo di vedere un bel po’ di gente, soprattutto perché era il primo appuntamento di questa nuova rassegna dedicata al cibo.
Invece, il pubblico non ha recepito la qualità dei due film proiettati (l’ingresso era gratuito), ed è stato al di sotto delle attese.
Peccato. Il primo (Immer Essen) era una pellicola sui venditori ambulanti di cibo nella città indiana di Hyderabad. Prima considerazione: mai lamentarsi del nostro traffico. Quello che la pellicola riversa sul pubblico è terribile: fa apparire Roma o Milano delle oasi del WWF.
Seconda considerazione. Il cibo ha un impatto sulla trasformazione degli usi di una società, incredibile. Nonostante l’India abbia una tradizione culinaria invidiabile, fast food e supermercati con marchi noti anche da noi, stanno spazzando via ogni cosa.
Si “crea” uno stile di vita che d’un tratto, diventa incompatibile con quello che si è sempre adottato. La frenesia quotidiana indirizza naturalmente le persone verso il cibo-spazzatura. I giovani soprattutto, pur riconoscendone lo scarso valore, lo ingurgitano senza troppi problemi.
Anche gli adulti, finiscono nel gorgo: troppe cose da fare, l’unica forma di resistenza allo schiacciasassi della modernità, è andare ogni tanto nel ristorante tradizionale (coi figli).
Due le immagini più emblematiche. Il fiume che attraversa la città (trasformato in una fogna a cielo aperto); e i libri presenti nel supermercato zeppo di prodotti. Che affrontano argomenti quali diabete, colesterolo, obesità: ti creo la patologia, e ti indico anche la (possibile?) via d’uscita. Non è fantastico?
Altra considerazione: sul libero mercato. Se qualcuno ha bisogno di indizi sulla sua inesistenza, il film gliene offre alcuni. I grandi ristoranti, i fast food, cacciano sistematicamente i venditori ambulanti dai loro paraggi. Vendono roba a prezzi modici, non sono “estetici”. Basta pagare la polizia, e velocemente arriva, scaccia, confisca e sequestra.
Altro che concorrenza, e vinca il migliore; vince chi paga la mazzetta più consistente. Chi non paga, sparisce.
Il secondo film (di quindici minuti), si intitola “Coffee & Allah”. Impressionante vedere i titoli di coda, il numero delle persone che hanno collaborato alla realizzazione di questa minuscola pellicola neozelandese. Pare un film in grande stile: credo significhi che laggiù, il cinema di nicchia, indipendente, viene aiutato.
La protagonista è una donna etiope che veste la purdah; di lei si vede solo lo sguardo (quando è in giro per la città). Evidentemente, in Nuova Zelanda questo tipo di abbigliamento non è vietato.
Qui nessuna denuncia, piuttosto il tentativo di due mondi distanti di dialogare, ricorrendo al caffè.