Un giorno di gogna non fa male a nessuno. Come dicono i filosofi più in gamba, è tutta esperienza. Su GIORNALETTISMO.COM
L’INTERCETTAZIONE TELEFONICA 11/02/2013 Nel nostro particolarissimo paese questa svergognata non solo ha ormai una sua propria personalità, ma di questa ha anche i disturbi. Perciò, come il pacifista viene preso da furore e indignazione al cospetto di certe guerre, mentre non lo puoi svegliare nemmeno col cannone quando si scannano spietatamente in altre; così l’intercettazione telefonica cade preda di un protagonismo incontrollabile quando la nostra impareggiabile magistratura bracca le cricche dei berlusconiani, mentre è più discreta di una monaca di clausura quando la nostra specchiatissima magistratura indaga laboriosa e riservata sui pasticci combinati dai compari della sinistra. Da quando è scoppiato il bubbone del Monte dei Paschi, ad esempio, non una che si sia offerta di titillare i nostri ormai drogati orecchi. E non ci manca tanto quella che inchioda l’indagato alle sue responsabilità, ma quella che lo inchioda al suo sordido, meschino, volgare e ordinario quotidiano, alle donnine soprattutto, condimento indispensabile ed eterno di ogni scandalo. Ma per fortuna è spuntata la pista Verdini, e con essa la traccia di alcune telefonate fatte dal brutto ceffo pidiellino al condottiero del Monte. Anche se non sembra roba forte, voglio credere che non se la terranno tutta per loro.
IL FINANCIAL TIMES 12/02/2013 L’antiberlusconismo è una malattia subdola. Se non siete di sinistra, comincia di solito con qualche distinguo o con qualche alzata di sopracciglio. Lì vi dovete fermare, perché sennò il virus vi devasterà. Lo prova il fatto che l’epidemia ha da tempo varcato con successo le Alpi. Sono lustri, per esempio, che le gazzette della grande finanza anglosassone ci dicono che Mr. Berlusconi is unfit to lead Italy. Ma col tempo i toni sono cambiati da così a così. Con la sua inesplicabile e beffarda resistenza il celodurismo carnevalesco del Cavaliere è riuscito a sgretolare anche la rinomata compostezza britannica. Prendete il titolo dell’ultimo editoriale del Financial Times: “L’Italia dovrebbe solo dire no a Silvio”. Non solo suona ruvidamente paternalista, ma in quel confidenziale “Silvio” non vi sembra forse di notare la progressione di una patologia mediatica tipicamente italiota, e starei per dire berlusconiana? E non vi sembra di cattivo gusto che il bollettino del capitalismo corretto in omaggio a Silvio ripeschi una parola come “plutocrate”, che signoreggiava nella propaganda dei regimi totalitari? E non vi pare che certi moniti come questo: “Gli investitori sarebbero molto ostili a comprare debito italiano, e ciò costituirebbe una minaccia per la sostenibilità finanziaria”, somiglino nello stile ai consigli dei bravi di manzoniana memoria o a quelli dei picciotti? Tutta roba italianissima?
FABIO FAZIO 13/02/2013 Fabio era contento, ieri, di essere a Sanremo. A dimostrazione che lo sciocchino dal bolscevismo non è del tutto guarito, nonostante i sorrisetti di sufficienza, il conduttore ha esordito con un pippone introduttivo a edificazione del popolo: «Il festival è un evento popolare, ma popolare non vuol dire facile né volgare né di bassa qualità», ha spiegato. Il popolo, fin lì ignorante, avrà apprezzato. Poi ha rivelato, sempre al popolo, che quest’anno cade il bicentenario della nascita di Verdi, il quale scrisse alcune delle pagine più popolari della musica. E infine con un «Viva Verdi!», ha dato il segnale all’orchestra di attaccare il “Va pensiero”: una velata misura di profilassi patriottica-costituzionale, degna forse delle defunte democrazie popolari o dei defunti stati corporativi, che però, nella pur sbrindellata democrazia italica, somiglia più a una excusatio non petita. Di solito un evento «popolare», una volta accesa la miccia, va avanti per conto suo senza neanche sognarsi di presentare un certificato d’idoneità artistica o di buona condotta civile o di mostrare i quarti di nobiltà. Per decenni il Festival di Sanremo è stato una semplice e spensierata boiata pazzesca. Adesso che i damerini della società civile, martirio dopo martirio, si sono mangiati pure il Festival, oltre al supplizio di essere inseguiti dagli echi della boiata pazzesca, rischiamo pure il «dibattito» sul perché la boiata pazzesca sia divenuta improvvisamente degna di loro. Poveri cretini.
IL MAGISTRATO FILOSOFO 14/02/2013 Per il Gip di Busto Arsizio, Luca Labianca, l’ipotizzata consuetudine al pagamento di tangenti dell’AgustaWestland costituirebbe una «filosofia aziendale». E, sempre nell’ambito dell’inchiesta Finmeccanica, scrive che i vertici del gruppo avrebbero cercato di manomettere le prove, o per usare il suo stesso astruso linguaggio, si sarebbero «attivati nel porre in essere condotte di sovvertimento della genuinità delle prove». Condotte di sovvertimento, perbacco! Siamo forse maliziosi se pensiamo che con queste ridondanti sfumature moralistiche il magistrato voglia suggerirci che dietro la pratica della corruzione c’è una certa qual censurabile indegnità morale che in questi tempi calamitosi alberga in una certa umanità antropologicamente ben definita? E sbagliamo proprio di grosso se pensiamo invece che dietro questo vernacolo ci sia una certa qual magistratura, anch’essa antropologicamente ben definita, che si è messa in testa di moralizzare la nazione?
LA LOTTA ALLA CORRUZIONE 15/02/2013 Per il nuovo segretario del Partito Comunista Cinese la lotta alla corruzione è una priorità assoluta. E già se ne vedono i segni. Il Quotidiano del Popolo, per esempio, ha messo all’indice la festa degli innamorati. Sembra che a San Valentino certi membri del partito perdano la testa e spendano fortune in regalini per le loro mantenute. Sul quotidiano è apparsa anche una lista con nomi e cognomi dei funzionari coinvolti, compresi, guarda caso, tre pezzi grossi già caduti in disgrazia durante l’ultima purga. Cose cinesi. La lotta alla corruzione, come la corruzione, trionfa infatti soprattutto in quei paesi dove l’universalismo occidentale è penetrato brutalmente portandovi lo stato “moderno” ma non la libertà. La lotta alla corruzione è spesso l’unico programma politico dove la politica non esiste, ma esiste solamente il potere politico. Nei paesi dove la politica esiste, come l’Italia, è il programma politico di chi vuole risolutamente uccidere la politica. Oppure è l’ultima risorsa del politico incapace, l’opzione fallimentare di chi non ha la più pallida idea di come far crescere il senso civico della nazione, la scorciatoia che sta a quest’ultimo come il ricorso al debito pubblico sta alla crescita economica. Mettili insieme, e avrai il più fetido dei populismi.
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