Un giorno di gogna non fa male a nessuno. Come dicono i filosofi più in gamba, è tutta esperienza. Su GIORNALETTISMO.COM
MARIA CHIARA CARROZZA 29/04/2013 Ecco cosa significa essere un ministro nuovo di zecca: non fare neanche in tempo ad aprire la bocca, ed essere subito impallinato da un qualche oscuro opinionista a caccia di facili prede. E tra le voci di questi frustrati scribacchini poteva forse mancare quella famigerata del sottoscritto? Certo che no. Intervistata dall’Unità ed interrogata sulle linee-guida del suo operato al ministero dell’Istruzione e dell’Università, la signora Carrozza, prima di esporle, ha voluto precisare con zelo repubblicano che «La mia guida sono i principi della Costituzione, per nulla invecchiati.» Urca. Questa nostra Costituzione è propria una bomba: tutto previde e giammai fallò. Da un po’ di tempo la Carta è diventata oggetto di culto da parte di una setta potente che è meglio per voi non spernacchiare. Meglio ancora se vi acconciate a pagarle un piccolo tributo, venerando la reliquia. Cioè, non la reliquia, ma il suo spirito vivificatore, cui forse un giorno si attribuiranno poteri taumaturgici. Intanto però questa religione di serie B ha già sparso in giro un bel po’ di fideismo. Massimamente tra gli intellettuali e i pozzi di scienza, come si vede.
ANDREA COLLETTI 30/04/2013 Lungi dal rappresentare qualcosa di nuovo e originale, i militanti del Movimento 5 Stelle sono la quintessenza rumorosa, tetragona e un po’ ingenua del bigottismo di sinistra. Vecchie comari rimbambite travestite da ragazzotti. Che pena. Prendete questo bel tomo, Andrea Colletti. Nel suo intervento alla Camera ha detto: «Questo Governo odora di democristianità. Odora di intrecci di comitati d’affari quali CL e Compagnia delle Opere. Visto il Ministro dell’Interno che ha scelto, o che è stato obbligato a scegliere, possiamo ben dire che questo sembra il Governo della trattativa Stato-Mafia. Del bavaglio alla magistratura ed alle opposizioni politiche. Questo, siamo sicuri, sarà il Governo del salvacondotto giudiziario a Silvio Berlusconi.» Democristianità, Intrecci, Comitati, Affari, Trattativa, Bavaglio, Salvacondotto: chissà come si sarà sentito dopo aver schierato in poche frasi tutti questi cavalli di battaglia! Un Partigiano della Legalità, come minimo. Poveretto. Costui probabilmente ritiene di aver fatto qualcosa di rivoluzionario, di aver detto l’indicibile per il bene della patria. E tutto questo dopo aver sciorinato come un bravo pappagallo un trito campionario di quel cospirazionismo esoterico che fa da decenni la felicità onanistica dei lettori de “La Repubblica”, e da qualche tempo di quelli della roba forte de “Il Fatto Quotidiano”. Perché anche l’antifascismo ha il suo Codice Da Vinci. Anzi, ne ha tutta una biblioteca.
IL PERDONISMO 01/05/2013 Non ho capito se i famigliari del carabiniere Giuseppe Giangrande abbiano risposto a una domanda esplicita dei giornalisti, oppure se abbiano obbedito a una specie di osceno e stupido adempimento burocratico che il circo mediatico ha ormai tacitamente imposto a chi ha appena visto un figlio, un genitore, un fratello o una sorella cadere vittima della furia omicida. Fatto sta che anche loro hanno dovuto decidere sul momento, col cuore in gola, davanti a dei petulanti tirapiedi, ambasciatori di un pubblico ferocemente avido di futili emozioni, se «perdonare» o «non perdonare» il malfattore. Siccome il buon gusto e il rispetto dovuto ai sentimenti più sacri impongono che a questo Cristianesimo da Reality Show si metta fine al più presto, propongo agli sventurati prossimi venturi questa risposta standard, da imparare a memoria: «Sì, noi perdoniamo. Perdonare è il dovere di ogni bravo cristiano. Perdonare vuol dire non rispondere al male col male, e lasciare la porta aperta a un sincero pentimento. Se i lunghi, lunghissimi, interminabili e penosissimi anni di galera, che ora inevitabilmente attendono lo sciagurato che ci ha così duramente colpiti, saranno utili alla salvezza dell’anima sua, in obbedienza ai disegni sapienti e misteriosi di una Provvidenza sempre misericordiosa, noi sapremo essere lieti per lui e con lui, e sapremo impetrare, nella maturità dei tempi, se saremo ancor vivi, la clemenza della giustizia umana. Il pentimento sincero è come una conversione. E’ una cosa rara. Ma non vogliamo rinunciare a questa ineffabile speranza». Naturalmente questa è la versione lunga. Per il popolo la condenserò in una formuletta assai più sintetica.
BELEN RODRIGUEZ 02/05/2013 Non è mai stato un bello spettacolo tutta questa gente famosa ansiosa di farsi ricevere in Vaticano dal Papa. Gente che quando poi il grande giorno arriva, chissà dopo quante e assai poco eleganti sollecitazioni, eccola lì sorridente e timorata con tutta la famigliola e magari anche con un regalino al seguito, gingillo che il Santo Padre rigirerà fra le mani per la prima e ultima volta in quest’unica occasione. Scene strazianti di vita piccolissimo borghese. E comunque, si capisce, un grande traguardo per loro e per la loro casata del kaiser. Non poteva sfuggire a questa mania Belen Rodriguez, che i traguardi in Italia ormai li ha tagliati tutti. La neo-mamma ha confessato al settimanale “Oggi” il suo desiderio di «partecipare ad una pubblica udienza del Papa. Mi piacerebbe tanto far benedire Santiago dal Papa, argentino come me». Insomma, ha dato inizio alle grandi manovre diplomatiche, così, alla luce del sole, tirando da lontano Papa Francisco per la manica dell’abito talare. Mi verrebbe di chiamarla un esempio di spudoratezza mezza arrogante e mezza ingenua. Ma non sono poi tanto sicuro. Andare vittoriosamente così dritti allo scopo, con grande scandalo dei maschi, è tipico del genio femminile, e anche il Vangelo lo testimonia.
IL CALCIO ITALIANO 02/05/2013 L’allenatore del Borussia Dortmund Jurgen Klopp ha detto di Arrigo Sacchi: «Non l’ho mai incontrato ma ho imparato tutto da lui. Tutto ciò che sono oggi lo devo a lui. Il mio Borussia è solo un 10% del suo grande Milan». Di allenatori in giro per il mondo che venerano Sacchi ce n’è un’infinità. Sono matti? Esagerano? Per niente. Il Milan di Arrigo Sacchi in quattro anni vinse due Coppe dei Campioni e un solo scudetto. Eppure tutto il mondo capì che «qualcosa» era successo, che il calcio non sarebbe più stato lo stesso. Tutto il mondo tranne l’Italia. Il motivo è presto spiegato: Sacchi fu un pioniere e fu vittorioso, contro tutto e tutti. In Italia non gliel’hanno mai perdonato, soprattutto il mondo del calcio. In Italia le novità tattiche del gioco sacchiano non furono mai interamente accettate, e quindi su di esse non si si poté col tempo nemmeno costruire qualcosa di più efficace. Né il magnifico Ajax di Van Gaal, né il Porto e il Chelsea di Mourinho, né il Valencia e il Liverpool di Benitez, né il Barcellona di Guardiola e nemmeno il Bayern tritatutto di questi mesi sarebbero immaginabili senza il Milan di Sacchi. Il Bayern che ha macellato il Barcellona non è una squadra poi tanto diversa da quella dell’anno scorso. L’allenatore è lo stesso. Ma si vede benissimo che – a loro modo – i tedeschi hanno fatto tesoro proprio della lezione di gioco del Barcellona. Sì, sì, sì, proprio così. Se volete ve lo spiego.
MIO COMMENTO: Accidenti, pensavo che qualcuno mi prendesse sul serio, e mi dicesse: “Allora spiegacelo, sapientone,” Allora se permettete lo faccio io: “Allora spiegacelo, sapientone.”
SPIEGAZIONE: Le grandi squadre che hanno fatta la storia del calcio, non solo con le vittorie, ma anche col gioco, nell’era post-sacchiana, hanno solo fatto delle variazioni alla tattica fondamentale del pressing.
Il pressing, in questo contesto, va inteso solo come gioco di squadra. Se non vi si applicano tutti i dieci giocatori non lo è. Il calcio è un fenomeno spazio-temporale. Il pressing è il tentativo di ottimizzare il movimento della squadra in questa dimensione. Che ripeto è spazio-temporale. In Italia sembra che esista solo quella spaziale. Per questo, cercando di venir a capo del mistero. sono sempre lì a strologare assurdamente coi moduli: 442- 343-42121-4321-433 e via rimbecillendo. Tutte cose SECONDARIE.
Il pressing è basato sulla superiorità numerica nella zona dove viene giocata la palla. Può essere difensivo, o offensivo, quando si ha il possesso della palla (questo aspetto sfugge completamente da noi). Nel primo caso soffoca la manovra avversaria. Nel secondo caso crea spazio per gli inserimenti.
Il pressing non si basa sull’ardore agonistico, né sulla velocità dei singoli giocatori, né sulla ridicola “forza o freschezza fisica”, concetto carissimo a tutti i giornalisti italiani quale “prestatore di spiegazioni in ultima istanza” ah ah ah… Il pressing si basa sull’abbattimento dei tempi morti da parte di tutti i giocatori. Ciò significa che non può essere fatto con riserve mentali. Si perde l’attimo. Per esempio: nel caso di perdita della palla in attacco, la cosa fondamentale sono i primi decimi di secondo dopo la perdita del possesso, non le corse affannose all’indietro, che sono appunto il risultato della mancata prontezza. Gli attaccanti devono subito far pressione sui difensori. Basta uno scattino di cinque metri. Lo scopo principale è quello di consentire ai propri difensori e centrocampisti di compattarsi senza arretrare, e dare inizio alla pesca allo strascico della palla.
Fondamentale è che la squadra si muova come una nuvola compatta su e giù per il campo. In effetti si tratta di rimpicciolire agli effetti pratici il campo di gioco, tagliandone fuori il massimo dei giocatori della squadra avversaria. Per questo l’altra squadra sembra sempre spaesata e stanca mentre i giocatori della nostra sembrano sempre freschi e arrivano “sempre prima sul pallone” (ah ah ah… mai sentita questa?).
Questo è il GIOCO, fondamentalmente. Le varie interpretazioni dipendono dal tipo di giocatori a disposizione, dai gusti dell’allenatore, dalle tradizioni calcistiche dei singoli paesi. Il madridista Valdano disse un giorno un giorno che il calcio di Sacchi era “difensivo”. Aveva ragione. Lui vedeva la cosa con occhi non italiani. Il gioco del Milan di Sacchi era teso soprattutto a soffocare le squadre avversarie, anche se agli effetti pratici poi finiva per schiacciarle nella loro metà campo, perché a quel tempo non sapevano letteralmente che pesci prendere. Qui sta “l’italianità” di Sacchi. Il gioco del Barcellona lo conosciamo tutti, avvolgente, tecnico, iberico. Quello del Bayern è robusto sulla fasce laterali, coma da tradizione tedesca. Ed è forte anche nelle “ripartenze”. Ma le “ripartenze” del Bayern sono un pressing d’attacco di SQUADRA che coglie l’attimo al momento della conquista del pallone.
Qualcuno dirà: tutto qua? Sì. Perché tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E non è una questione tecnica, è una questione di convinzione e di allenamento. Si tratta di fare le cose PER INTERO. In Italia non le fa nessuna squadra, da vent’anni.
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