Una settimana di “Vergognamoci per lui” (135)

Creato il 21 luglio 2013 da Zamax

Un giorno di gogna non fa male a nessuno. Come dicono i filosofi più in gamba, è tutta esperienza. Su GIORNALETTISMO.COM

LA LEGA NORD 15/07/2013 In prospettiva l’unica opzione politicamente seria, costruttiva e vincente per il partito nordista era quella di diventare il braccio “bavarese” del PDL, una sorta di CSU italiana, limitata sostanzialmente al lombardo-veneto. I leghisti hanno avuto vent’anni di tempo per capirlo, ma non ce l’hanno fatta. Invece, da somarelli, e in fin dei conti anche da pecore, hanno passato il tempo a coltivare la loro “diversità” dal Berlusca, salvo fare comunella con lui quando le vacanze finivano, ossia in occasione delle elezioni politiche; e a coltivare la loro organizzazione sul mitico territorio del piffero, animati da una specie di eco-statalismo su scala regionale, neanche fossero il PCI delle regioni bianche e “conservatrici”; organizzazione che fino a due anni fa strappava qualche sommesso gridolino d’ammirazione perfino a sinistra, dove si vedeva volentieri in essa una specie di premonizione del crollo del partito di plastica berlusconiano, che naturalmente è rimasto bellamente in piedi, nonostante i bombardamenti, a differenza della Lega, che è crollata, nonostante le lusinghe. In preda ad una micidiale crisi d’identità, i leghisti superstiti ora sbandano paurosamente a sinistra e a destra, dividendosi tra gli opportunisti che flirtano timidamente col politicamente corretto, e quelli che sguazzano per disperazione in un reducismo da ubriachi o, se volete, da cavernicoli.

L’ITALIETTA ANTI-REVISIONISTA 16/07/2013 A Ferrara il Comune – a guida PD, naturalmente – l’Università e l’Istituto di storia contemporanea hanno istituito un premio per opere inedite di giovani studiosi dedicate alla “storia del giornalismo e della comunicazione pubblica”. Premio intitolato a Nello Quilici, “rilevante figura di intellettuale e giornalista, direttore a Ferrara del Corriere Padano”, nonché rilevante figura del fascismo locale, il quale negli anni dell’avvitamento razzista del fascismo fece in tempo a dare il suo virulento contributo scritto alla nobilissima causa antisemita. Come altri padreterni del futuro giornalismo repubblicano e democratico, peraltro. A strappare il velo della reticenza istituzionale sul passato di questa rilevante figura di intellettuale ha pensato Ranieri Varese, professore del Dipartimento di Scienze Storiche dell’Università di Ferrara, scrivendo al sindaco e al rettore dell’Università «per dichiarare, da cittadino, tutto il mio sconcerto e amarezza per una riproposizione che non poteva e non può, in questi termini, essere assunta». Non avendo ricevuto risposta, dopo un mese il docente si è rivolto ai giornali. Solo allora l’assessore alla Cultura del Comune ha spiegato che è in fase di preparazione una risposta ufficiale a Varese, nella quale sarà chiarita la genesi particolare del premio, cui diede impulso una donazione della famiglia Quilici, ribadendo in ogni caso che «il giudizio di Ranieri Varese è assolutamente condiviso e che non c’è nessuno tentativo revisionista o di attenuare le colpe storiche di Nello Quilici». Della figura dell’ex direttore del Corriere Padano non so assolutamente nulla. Magari in realtà era un galantuomo. Magari un fanatico della peggior risma. Il punto veramente interessante della vicenda è un altro: è l’universale rifiuto della politica e della cultura italiana di prendere atto di come i fantasmi fascisti del passato abbiano una netta tendenza a frequentare gli album di famiglia dell’Italia rossa, e di come siano proprio le roccaforti dell’antifascismo tutto d’un pezzo ad essere travagliate continuamente da questi piccoli drammi generazionali di massa, dopo aver rotto non poco i marroni, traendone profitto, all’Italia meno inquadrata e zelante, oggi come allora.

GLI AMICI DELL’AMICO DI SILVIO 17/07/2013 

PROBLEMI DI DIRITTI UMANI? QUALI PROBLEMI? I POLITICI EUROPEI CHE FANNO DA SPALLA ALL’AUTOCRATE KAZAKO di Walter Mayr (da Spiegel On line International, 13 marzo 2013) 

Ci sono socialdemocratici europei che si lasciano manipolare dall’autocratico leader del Kazakistan. Non solo patrocinano la causa del regime all’estero, ma lo sostengono in una disputa di famiglia con il suo genero. E cospicue somme di denaro stanno a quanto pare passando di mano.

Per gli attivisti dei diritti umani, il presidente kazako Nursultan Nazarbayev è un despota fatto e finito. Ha costruito una “dittatura postmoderna”, dice la Human Rights Foundation con base a New York, “svaligiando le casse del paese di decine di miliardi di dollari per arricchirsi personalmente”. E secondo l’ultimo bollettino annuale di Amnesty International, Nazarbayev controlla un sistema nel quale la tortura è ancora impiegata. Per essere un tiranno, tuttavia, il signore del Kazakistan ha a sua disposizione alcuni insoliti avvocati: gli ex cancellieri tedesco e austriaco Gerhard Schröder e Alfred Gusenbauer, gli ex primi ministri britannico e italiano Tony Blair e Romano Prodi, così come l’ex presidente polacco Aleksander Kwaniewski e l’ex ministro degli interni tedesco Otto Schily. Tutti costoro sono membri nei loro paesi di partiti socialdemocratici. [L'Italia è sempre un caso specialissimo, naturalmente... NdZ] Gusenbauer, Kwaniewski e Prodi sono ufficialmente membri dell’Intenarnational Advisory Board di Nazarbayev. S’incontrano spesso ogni anno – nella più recente occasione due settimane fa nella capitale kazaka Astana – e ciascuno di loro percepisce onorari annuali che raggiungono le sette cifre. Secondo la stampa britannica, l’ex primo ministro britannico Blair, pure lui advisor, riceve ogni anno compensi che possono arrivare a 9 milioni di euro (11,7 milioni di dollari). Schröder, per quanto lo riguarda, nega di essere membro dell’Advisory Board. Ciononostante, s’incontra di quando in quando faccia a faccia con l’autocrate venuto dalle steppe asiatiche, ed elogia il Kazakistan come un “paese internazionalmente riconosciuto e aperto”. Nel novembre del 2012, Schröder si congratulò col Kazakistan in quanto paese scelto per ospitare l’Expo 2017, che descrisse come il “prossimo passo verso la modernizzazione”. Nazarbayev, ex capo del Partito Comunista in Kazakistan, aveva già governato la repubblica durante l’era sovietica. Nel 2010 fece passare una legge che lo nominava “Leader della nazione”, che lo rendeva immune da qualsiasi procedimento giudiziario e dal sequestro dei suoi beni per il resto della sua vita. Ciononostante, l’Occidente continua a corteggiare Nazarbayev. “I partners internazionali più importanti del Kazakistan non hanno saputo reagire a serie violazioni dei diritti umani”, dice Human Rights Watch. Il paese ha enormi risorse minerarie, inclusi petrolio, gas naturale, oro ed uranio, che lo rendono un assai appetito fornitore d’energia e il suo presidente un attore importante nel teatro internazionale.

UNA FAIDA FAMIGLIARE. IL 18 febbraio il nome di Otto Schily venne alla ribalta in un caso concernente il Kazakistan. Nella sua qualità di procuratore, Schily chiese l’emissione di un mandato d’arresto per l’autoproclamatosi nemico pubblico N° 1 del paese, Rakhat Aliyev, [non c'entra nulla col “dissidente” Ablyazov, ora agli onori delle cronache in Italia, NdZ] l’ex genero del presidente, che era scomparso scappando a Malta. Nel suo nuovo libro “Tatort Österreich”, o “Luogo del crimine: Austria”, Aliyev critica il tentativo, attuato con l’aiuto di Schily, di propagandare il suo caso issandolo sul palcoscenico europeo. Per anni Aliyev e Nazarbayev sono stati coinvolti in una faida nella quale è arduo tracciare una linea netta tra bene e male, anche se i lobbisti della causa kazaka provenienti dagli ex alti ranghi dei partiti socialdemocratici europei potrebbero permettersi di non essere d’accordo. Aliyev è stato un intimo consigliere del presidente kazako. Ha servito come vicecapo dei servizi segreti, alto funzionario del fisco e ambasciatore in Austria. Ma soprattutto è stato il genero di Nazarbayev. Nel 2007 è caduto in disgrazia ed è stato condannato in contumacia a 40 anni di prigione per sequestro di persona e per tentativo di colpo di stato. E’ anche accusato di omicidio, tortura e riciclaggio. E’ al momento sotto inchiesta a Vienna e nella città di Krefeld, nella Germania settentrionale. Aliyev non solo nega ogni4407497347; km_ai=zamax; km_ni=zsua volta il presidente di crimini gravissimi. Secondo Aliyev, Nazarbayev è colpevole dell’assassinio e della tortura di membri dell’opposizione, del furto di miliardi di dollari e del trasferimento di fondi in conti segreti all’estero. Fonti russe stimano gli asset della famiglia al potere sui 7 miliardi di dollari (5,4 miliardi di euro). Ambedue le parti della faida famigliare stanno cercando di manipolare l’opinione pubblica. Da una parte il presidente, coi suoi illustri avvocati occidentali; dall’altra Aliyev, che segue il procedimento istruito contro di lui in Austria dal suo nascondiglio maltese. Allo SPIEGEL Aliyev dice di essere disponibile a presentarsi nei tribunali austriaci. Ma dice anche e prima di tutto della sua paura di essere oggetto di un sequestro di persona. Ogni volta che ha la sensazione di essere seguito da qualcuno, egli lo fotografa e scarica le immagini su un dispositivo rigido. In una conferenza stampa a Vienna in febbraio, l’ex ministro dell’interno tedesco Otto Schily disse che il fatto che Aliyev “potesse girare liberamente in Europa” era qualcosa di “macabro”, prima di fare una severa ramanzina, con uno stile tedesco assai imperiale, a quelle cui implicitamente si riferì come le deboli autorità austriache. Seduto accanto a Schily stava Gabriel Lansky, visibilmente compiaciuto.

IN GINOCCHIO DAI KAZAKI. L’avvocato viennese è un mediatore politico in un gioco miliardario di Monopoli che ora si sta manifestando sulla scena europea. Sta facendo tutto quello che è in suo potere tutto per portare in tribunale Aliyev. Con le sue eccellente entrature nei partiti socialdemocratici e non solo, egli contribuì a garantire che il caso Aliyev fosse assegnato a Schily, in modo tale che esso fosse pure al centro dell’attenzione in Germania. Ma ciò che fu forse ancora più d’aiuto è il fatto che l’ex cancelliere austriaco Gusenbauer, un membro dell’Advisory Board di Nazarbayev, fu testimone di nozze al matrimonio di Lansky. In risposta alle accuse di essere pagato per i suoi servizi direttamente col denaro dei forzieri dell’autocrate kazako, Lansky elogia l’affidabilità dei suoi collaboratori. Per esempio, c’è un direttore in pensione della Europol law enforcement agency che gli fornisce a pagamento dei preziosi rapporti. Ha perfettamente senso che sia proprio Gabriel Lansky ad opporglisi con ogni trucco legale a suo disposizione, dice Aliyev ironicamente da Malta, spiegando che all’inizio degli anni novanta lo studio legale di Lansky rappresentava parecchie compagnie registrate in Austria strumentali nel gettare le fondamenta della fortuna di Nazarbayev. Il complesso della disputa dinastica è difficile da sbrogliare, per i tedeschi non meno che per gli altri. Non desta sorpresa che il governo della cancelliera Angela Merkel stia tenendo un profilo basso sul caso, specialmente dopo la firma apposta, durante la visita di Nazarbayev a Berlino lo scorso anno, su contratti del valore di qualcosa come 3 miliardi di euro. Le relazioni tra i due paesi sono “così buone che difficilmente io le potrei migliorare”, disse l’ambasciatore tedesco a Astana in novembre. Il Kazakistan, aggiunse, rifulge in conseguenza della sua “saggia guida politica” e della sua determinazione a non farsi suggestionare dal “problema artificiale” dei diritti umani. Il fatto che un diplomatico tedesco si pieghi davanti ai kazaki fino a tale punto è già abbastanza brutto, dice la deputata dei Verdi Viola von Cramon. Ma peggio ancora, sottolinea, è il fatto che politici come Schröder, Schily, Prodi e Blair si lascino coinvolgere nei giochetti di Nazarbayev. “Specialmente perché ora il suo regime è impegnato in un giro di vite. Ma grazie all’influenza dei lobbisti occidentali, poco di quello che succede oltrepassa i confini”, dice.

[Tradotto volenterosamente in italiano - dalla versione inglese di Christopher Sultan dell'originale tedesco - dal tenutario di questa rubrica.]

I KAZAKOFOBI 18/07/2013 Ecco, non vorrei che dopo quer pasticciaccio brutto de Casal Palocco, finissimo come al solito cornuti e mazziati, disprezzati da tutti i kazaki, dai kazaki del Kazakistan, dai russi del Kazakistan, dal regime, dagli aspiranti golpisti, dai dissidenti veri e persino dalla sottospecie kazakistana, recentissimamente venuta alla luce. Vedo gente a destra e a manca, tutta infervorata nella polemica politica, che parla a ruota libera dei kazaki come fossero una razza mezza selvatica, che si muove per branchi, e come se il Kazakistan da oggi fosse stato espulso dal campo di gioco internazionale. Non vorrei insomma che andasse distrutto, a causa del nostro atavico e garrulo provincialismo, tutto il lavoro fatto in questi ultimi anni dal nostro più rinomato ambasciatore nel vastissimo paese centro-asiatico, Toto Cutugno: meglio il suo italiano “vero”, fiero, con la chitarra in mano, con la 600 giù in carrozzeria, meglio quel mandolinista farfallone e sentimentale che l’isterico di questi giorni.

NINO DI MATTEO 19/07/2013 Il Tribunale di Palermo ha assolto il generale Mori e il colonnello Obinu dall’accusa di favoreggiamento aggravato per la mancata cattura di Provenzano nel 1995, perché «il fatto non costituisce reato». La vaporosità dei reati contestati è una costante nei processi che mirano a scrivere pagine decisive della storia d’Italia. Barocchi impianti accusatori poggiano spesso su avvilenti giochi degli equivoci. E’ ovvio, ad esempio, che anche l’azione dei corpi di polizia, così come ad un livello più alto quella dei ministeri dai quali dipendono, si svolge dentro una sua legittima e limitata sfera di discrezionalità; è ovvio che anche i poliziotti hanno una loro politica operativa, duttile e sempre aggiornabile, nei confronti del piccolo e grande crimine, che detta i modi e i tempi del loro agire; è perfettamente comprensibile che nella sua guerra alla criminalità organizzata la polizia usi anche l’arma informale degli abboccamenti, delle lusinghe, dei messaggi in codice; ed è di tutta evidenza che quand’anche queste strategie investigative si rivelassero disastrose, ammesso e non concesso che questo sia il caso di Mori, rimarrebbero pur sempre nell’alveo della legalità. Incurante di tutto questo, ieri il pm Nino Di Matteo, durante un sit-in davanti al Tribunale di Palermo organizzato dalle Agende Rosse, ha detto: «La nostra è una lotta continua, lo dobbiamo a chi crede alla democrazia. Una lotta quotidiana per conoscere la verità di quegli anni. Guai se la ricerca della verità si fermasse. In questi vent’anni si sono scoperti tanti elementi concreti. Ma ancora dobbiamo scoprire tanto dei mandanti e dei moventi delle stragi.» Qualcuno troverà questo discorsetto inopportuno, incendiario, smaccatamente politico, e anche populista, e tuttavia lecito. Ma mettiamo che ci sia qualche esaltato con strane teorie in teste, che pensi male, ma veramente male, tanto da vedere in questo proclama la prova di un concorso esterno in associazione politica dai fini oltremodo loschi: non sarebbe correre un po’ troppo?


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