Tempo sospeso in bolle di sapone insieme ad un mattino che ha il sole negli occhi.
Leggere e rileggere, ritrovarsi nelle parole di una lettera scritta disperatamente tentando altrettanto disperatamente di autodefinirsi e scoprire che finalmente non servono più.
Ché finalmente quel che sentivo ora parla da solo in una lingua diversa.
Avevo scritto semplicemente più veloce della vita.
E forse lei è stata costretta ad ascoltarmi. E io ad aspettarla.
Aspettare, difficile da fare.
Semplice da dire.
Sembra un termine così vuoto e statico.
Invece porta con sè un tumulto di emozioni da dover semplicemente vivere, perché quel che devi fare è stare fermo ad ascoltare.
L'aspettare ti chiede di vivere il presente, è una lezione che devi imparare.
Aspettare, desiderare.
E poi senza pensare un passo dopo l'altro assecondi il vento, che prima soffiava solo dentro, e come il polline ti fai spandere altrove.
Oltre, finalmente.
Una fioritura che non ti aspettavi, perchè nell'aspettare non puoi immaginare.
Ti è proibito, troppo simile a un'aspettativa, che non ti puoi permettere.
Sei sola lì, schiacciata nel presente, costretta a guardarlo in faccia quel posto che hai sempre bristrattato in favore di un passato riveduto e corretto e di un domani sempre più roseo in cui sperare.
(Scrivere del silenzio ha aperto un coperchio.
Uscire di scena mi ha liberato dal dovere di scrivere.)