“Una specie di Alaska” al Teatro Libero

Creato il 21 settembre 2013 da Temperamente

Una ragazza è distesa sul letto, il suo medico è seduto affianco. Ad un certo punto, “Succede qualcosa” (sussurra). Lentamente, Deborah si risveglia. Non si ricorda quanti anni ha, dove si trova in quel momento, nè riconosce la persona al suo fianco. Si ricorda solo di aver dormito, per un po’, ma in fondo, chiede, che male c’è, dormire è naturale, evidentemente il suo corpo ne aveva bisogno. Solo che Deborah ha dormito 29 anni…

All’inizio del ventesimo secolo, un’epidemia della malattia del sonno sconvolse il mondo. Oliver Sacks (di cui abbiamo già parlato qui), racconta i risvegli di alcuni dei malati grazie a un’iniezione di L-dopa, farmaco il cui uso fu sospeso perché non abbastanza efficace – dopo un breve lasso di tempo, infatti, i pazienti tornavano catatonici. Harold Pinter riprende la vicenda di Deborah, ammalatasi all’età di 16 anni e risvegliatasi adulta, con lo stesso spirito di quand’era ragazzina. Sul palco del Teatro Libero di Milano, in scena fino al 28 settembre, lo spettacolo di Valerio Binasco interpretato da Sara Bertelà, Orietta Notari e Nicola Pannelli.

È incredibile immaginare un tale immotivato vuoto nella propria esistenza. «Vi descrivo com’è. Una lunga sala bianca, in cui ci sono degli specchi, che si riflettono all’infinito, e ci sono delle persone, che mi guardano e mi parlano ma io non posso rispondere.». Come stare in Una specie di Alaska - titolo scelto da Pinter – sospesi, in un non luogo, senza tempo né emozioni. Deborah non si sente morta, ma in un certo senso è come se lo fosse stato per un lungo periodo. C’era chi voleva sotterrarla nel suo tempo di buio (bianco) e alcuni dei suoi affetti sono scomparsi nel frattempo. Ora si trova sbalzata di anni e anni in avanti, in un corpo che non riconosce, così come le persone che la circondano. Pauline, la sorella, che si definisce la vedova di quest’uomo, il medico che l’ha curata. Loro hanno sofferto, hanno sentito quel vuoto, riempendolo con il proprio dolore e la propria speranza,mentre lei si è presa una lunga pausa bianca, scevra di sentimenti ed emozioni di ogni tipo. Semplicemente, ha smesso di vivere, e adesso deve ricominciare, quasi una nuova vita. Con tutto ciò che questo può voler dire.

Uno spettacolo angosciante sul tempo sprecato e sull’impossibilità di colmare un vuoto. La pena per la tremenda situazione di Deborah è fortissima, perché già normalmente si sente tutto il peso dell’inadeguatezza rispetto al tempo che scorre, anche per chi non cade malato per anni e anni. Pauline chiede «Cosa le devo dire? La verità? Bugie?» e il medico risponde «Tutt’e due». Come nella vita.


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