E così mi va di raccontarmi una storia, di quelle da mettere dentro al camino a fare cenere, da dimenticare il tempo e riavvolgere i nastri di assurde e spietate convinzioni.
Mi va di sedermi ai lati della mia vita, nessuna attenzione al vento che sbatte le finestre e ai lembi di nuvole nere che s’addensano feroci.
E nel mentre racconto questa storia a me, la racconto anche a voi, che sa di petali e vino caldo e alle volte, a berlo, il vino caldo intendo, ci si brucia la lingua e le parole e, come ben si sa, è meglio così.
Dicevo dunque di questa storia. Siamo in Francia, 21 anni fa.
Una mattina d’estate vennero date alla luce due meravigliose bambine. Nessuno può comprovare che fossero davvero meravigliose, ma c’è chi giura fossero ancora di più. Erano luce degli occhi dei loro genitori e nel cielo le confondevano con il brillare delle stelle. Non c’era parola alcuna, tanta felicità era dipinta nei loro volti di culla e latte.
Accadde, un giorno, appena d’utero uscite, che s’ammalarono d’una malattia non rara né grave, ma che le tenne lontane da chi l’amava, chiuse in una stanzina a far da guarigione.
Rosa e Catherine, così le chiamerò che di fantasia, a sentirla raccontare, questa storia, mi s’è acceso il sentimento, ecco, dicevo, Rosa e Catherine, se ne stavano strette, fianco a fianco a rimirare la vita e si fecero compagnia bambina, consolati i pianti ed i sorrisi. Erano piccine, ma così piccole che nemmeno un bracciale venne dato loro, che i polsi non l’avrebbero trattenuto.
Ma, ahimè, neppure nome venne loro segnato, un piccolo tatuaggio che le ricordasse, un fiore disegnato, che so, una croce, se l’infermiera ai tempi fosse stata analfabeta. Sarebbe bastata una stellina, non dico un cavallo o un castello. O un vestito di rosso a Rosa e uno di violetto a Catherine. O color di vino come la sua terra e di cielo azzurro come i suoi occhi.
Ma nessuno lo fece e quando venne il giorno della guarigione, si sa come va la vita, una partita a scacchi, a dadi e le bimbe vennero date ai loro genitori.
Che furono felici di festa e di pianto e ballarono d’incanto e gioia e mai nessuno negò loro che quello fosse il loro giorno più bello. E batterono le mani tutti e se ne tornarono a casa, con il loro piccolo fardello che profumava di fiori.
So che alcuni di voi già sanno cos’ebbe ad accadere. Il fato così folle ed infingardo, diede a Rosa i genitori di Catherine e a Catherine, e qui vien chiaro, i genitori di Rosa, che mai seppero del furto, lo scambio, lo scherzo fino al giorno in cui quei tratti del volto delle bimbe non apparve loro poco famigliare.
E venne commissionato l’esame che decretò l’inganno.
Fu buio e notte. Fu freddo e silenzio. Fu disperazione. Al solo immaginare mi si gelano le mani e si seccano i sogni.
Fu il tempo dell’esistere.
E la vita, si sa, talvolta, porta una magia con sé che nessuno sa immaginare, troppo stretto nella propria solitudine.
Sì, accadde che si scoprì presto la natura dell’errore. Rosa e Catherine, ormai donne, vollero incontrarsi, e quando si videro, riconobbero d’odore la pelle di quella stanzina che le accolse piccole ed indifese. Riconobbero i pensieri, il pianto ed i sorrisi e fu chiaro loro il destino.
E’ d’oggi la storia che Rosa ha deciso di restare a vivere con i genitori di Catherine e Catherine con i genitori di Rosa che le amarono come figlie sebbene non ebbero a sapere che non fossero loro figlie. E sono felici e riconoscenti con chi decise di amarle.
Rosa e Catherine
Talvolta, e ve lo dico che è quasi notte, la vita è davvero una splendida sfida d’amore.
Chiara