Una stanza tutta per sè
Creato il 20 ottobre 2013 da Antoschu
@antoschu
Immaginiamo Virginia Woolf nella sua stanza a Londra. Immaginiamo questa illustre scrittrice del primo Novecento inglese osservare la sua vasta libreria. Immaginiamola mentre scorre i volumi e traccia sul suo taccuino il sentiero impervio che la donna ha dovuto attraversare per farsi strada nel folto bosco della letteratura, da sempre dominato dal sesso comunemente definito forte.
Virginia Woolf
Questo è Una stanza tutta per sé: la ricerca di una donna, di una letterata, di coloro che la precedettero nell’arte dello scrivere. Un saggio, quello della Woolf, che inizia con un foglio bianco, un titolo: “Le donne e il romanzo” e una passeggiata infruttuosa in una Londra autunnale per raccogliere le idee su cosa scrivere. Ma è solo quando Virginia torna nella sua stanza, alla sua libreria, che questo libricino entra nel vivo. Ella ci conduce dal Cinquecento Shakesperiano ai suoi giorni nella ricostruzione di quella che è la genesi del romanzo femminile. Il suo percorso prende vita da una frase da lei coniata e attorno a cui ruota l’intero apparato: "Una donna, se vuole scrivere romanzi, deve avere soldi e una stanza per sé". Queste sono le due condizioni necessarie al gentil sesso per poter aspirare a diventare scrittrici e se in un primo momento la frase può apparire puramente materiale, nel percorso tracciato dalla Woolf ci si rende conto che non è così, che questa frase nasconde una verità riscontrabile nella letteratura stessa. I volumi del Cinquecento e del Seicento della libreria di casa Woolf non presentano nomi femminili. Questo è facilmente spiegabile. In quell’epoca per la donna era impossibile pensare di scrivere. Ella era rilegata alle sue stanze, alle sue mansioni ed era priva dei mezzi quali l’istruzione o il denaro per permettersi di scrivere. “Le donne sono state sedute in queste stanze per milioni di anni, cosicché ormai perfino le pareti sono pervase dalla loro forza creativa”Non era una creatura libera, era tenuta ben salda dalle catene della quotidianità al suo ruolo di madre, moglie, casalinga. Non le era permesso esprimersi e la sua opinione non contava. Cambiando scaffale la Woolf posa lo sguardo sui volumi settecenteschi e qui qualche sparuto nome di donna fa la sua comparsa, ma leggendone le pagine è ben evidente come il retaggio sociale impedisca alle autrici donne di esprimersi liberamente. Addirittura vengono derise dalla società maschilista. Lo scaffale dell’Ottocento al contrario pullula di opere femminili. Qualcosa è cambiato e nei grandi nomi di Jane Austen, Charlotte ed Emily Brontë, George Eliot, Elizabeth Gaskell, le autrici donne trovano il loro riscatto. La donna adesso è ancora rilegata alle sue stanze, ma è proprio in esse che tra una faccenda e l’altra, inizia a scrivere e sceglie, come forma più malleabile per esprimere la propria fantasia, il romanzo. Così la Woolf ci mostra una Jane Austen che scriveva nel salotto, stanza comune, dove veniva continuamente interrotta da intrusi, eppure caparbiamente dedita a narrare le vicende dei Bennet, di Emma, del capitano Wentworth. Ci mostra una Charlotte Brontë che non poteva permettersi di comprare troppa carta tutta in una volta eppure scrisse Jane Eyre. Una Emily Brontë che senza mai vedere il mondo oltre la sua amata brughiera scrisse un capolavoro come Cime Tempestose.Queste donne hanno scritto nelle loro stanze seppur con poche risorse economiche, ma a differenza delle loro madri o nonne erano libere di esprimersi, anche se la società non era ben disposta nei confronti delle loro opere. Basti pensare che le Brontë pubblicarono per la prima volta con pseudonimi maschili. Molto bello è il passo che la Woolf dedica a Charlotte Brontë e al suo genio creativo: “Sapeva, e nessuno lo sapeva meglio, quanto il suo genio avrebbe guadagnato se non si fosse disperso in visioni solitarie sui campi lontani; se le fosse stata concessa l'esperienza, i contatti e i viaggi. Ma non le furono concessi.”Questo mostra come la donna non fosse poeticamente inferiore all’uomo, ma semplicemente priva delle opportunità che invece erano date a quest’ultimo. Se una donna nel Cinquecento avesse avuto le stesse opportunità di Shakespeare di vivere e viaggiare ed esprimersi, probabilmente oggi leggeremmo opere di una “Shakespeare donna” dello stesso inestimabile valore e non a caso la Woolf scrive: “Chi può misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando si trova prigioniero e intrappolato in un corpo di donna?” Virginia giunge così allo scaffale del suo tempo, dove le donne sono si presenti, ma l’uomo ancora cerca di marcare il territorio come se fosse una sua esclusiva. La conclusione di questo saggio è un invito alla pace e alla libertà di espressione al di là dell’appartenenza all’uno o all’altro sesso. La Woolf per prima dichiara di avere una rendita di cinquecento sterline lasciatale da una zia e questo le permette di uscire dalla sua stanza, in cui legge e scrive, per potersi permettere di osservare il mondo e arricchirsi."Datele una stanza tutta per sé e cinquecento sterline l'anno, lasciatela parlare liberamente e cancellare la metà di quel che include ora, e uno di questi giorni scriverà un libro migliore. Fra altri cento anni (...) sarà un poeta." Antonella IulianoUn tè con l'autrice
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