Una stanza tutta per sé, infatti, insiste su una forma di libertà intellettuale, che porti le donne a colmare l'enorme ritardo accumulato nei confronti degli uomini nell'accesso alla cultura, in un cammino che somiglia ad una battaglia per la conquista delle rocche della cultura, a partire dalle università, con le biblioteche chiuse alle ragazze prive di autorizzazione.
E qua e là, fra le pagine, ci accompagna come un leitmotiv il fantasma di una sconosciuta sorella di William Shakespeare, che aveva, nell'immaginario dell'autrice, tutte le doti letterarie e poetiche del fratello, ma era confinata all'anonimato dal suo essere donna, al punto da essere derisa, mentre il Bardo veniva acclamato. Un exemplum fictum, eppure si tratta di una scelta molto efficace nel delineare questa contrapposizione fra i sessi non solo nella prospettiva della storia sociale, ma anche della cultura e dell'arte. Sappiamo bene che la stragrande maggioranza delle opere artistiche e letterarie, fino alla seconda metà del Novecento, sono state prodotte da uomini e che persino l'accesso all'istruzione delle donne è stato a lungo boicottato: la prima donna laureata della storia è Elena Cornaro, dottoressa in teologia nel 1678 all'università di Padova, eppure ancora nell'Ottocento questo diritto non era unanimemente riconosciuto in Europa, per quanto anche nell'appartato Regno d'Italia illustri personaggi evocassero la necessità di un'educazione letteraria per le donne.
Il paradosso, secondo la Woolf, è che alla donna sia stata tanto a lungo preclusa la letteratura, quando le pagine dei più grandi romanzi erano affollati di eroine, al punto che, «se la donna non avesse altra esistenza che nella letteratura maschile, la si immaginerebbe una persona di estrema importanza, molto varia; eroica e meschina, splendida e sordida, infinitamente bella ed estremamente odiosa, grande come l'uomo, e, pensano alcuni, anche più grande». Ma, nella realtà, le donne sono ridotte a specchi dell'uomo, strumenti per raddoppiarne la figura. Di conseguenza, si determina una contrapposizione: la donna «immaginativamente, ha un'importanza enorme; praticamente, è del tutto insignificante».
Ma se la donna cessa di essere specchio e alza la sua voce, la figura dell'uomo in essa riflessa si rimpicciolisce, e allora anche alle donne spetta il loro spazio. Ed è proprio questo che Virginia Woolf spera di trasmettere alle sue ascoltatrici: la necessità di dire la verità, di esprimersi, di conquistare un proprio posto nel mondo che, simboleggiato da una stanza, si allarga ben oltre essa, inglobando diritti, libertà ulteriori, aspettative, desideri e realizzazione.
Dean Cornwell, Ritratto di una giovane donna in lettura
In questo saggio ho trovato molte delle mie riflessioni e ci sono state pagine in cui ho sentito una profonda affinità col pensiero della Woolf, nel suo bisogno di abbattere le barriere di una tradizione soffocante, nel desiderio di veder abbattuti i baluardi di un mondo fatto di divieti meschini eretti dalla paura e dall'invidia. La lettura, però, è risultata a tratti molto difficoltosa, colpa della mia difficoltà con lo stile sfuggente e anticonvenzionale della Woolf, che per questo ha, nel quadro della letteratura mondiale, il primato che le spetta, ma che mi ha bloccata per ben due volte entro le prime quindici pagine di Gita al faro. Insomma, mi sono trovata di fronte ad uno dei miei limiti letterari, che spero di poter a poco a poco limare: non sono ancora pronta per il flusso di coscienza. Inoltre un ostacolo non da poco è emerso di fronte a tutte le citazioni di autrici inglesi a me sconosciute e questa ignoranza, anche se non pregiudica la comprensibilità del testo, è per me motivo sufficiente per farmi ammettere, da maniaca dei dettagli quale sono, di non averlo potuto apprezzare fino in fondo. Dunque salvo con un dieci e lode il contenuto, ma mantengo qualche riserva sulla forma, sperando che lo spettro tormentato di Virginia non venga ad agitare il mio sonno.Finché scrivete quel che volete scrivere, questo è ciò che conta; e se conti per secoli o per ore nessuno può dirlo. Ma sacrificare un capello della testa della vostra visione, una sfumatura del suo colore, in ossequio a qualche Direttore scolastico con una coppa d'argento in mano, o a qualche professore col suo righello nella manica è il tradimento più abietto.C.M.