Irving Penn, summer sleep
Ti guardo.
Mi specchio nelle tue solitudini
prima ancora di perdermi sulla tua pelle.
Ho imparato l’arte del sogno
l’ho imparata seguendo
il lento ondeggiare
delle pupille sopra il tuo naso,
quando per respirare
sfiori il petto e tutto il cuore.
Ho imparato a raggiungerti
tra il tuo caffè
e le matite mangiate
i libri volanti
e le piume dei cuscini
che i bambini credono sia neve,
ma che in realtà
sono singhiozzi notturni,
vecchie fotografie tutte uguali
Il tuo silenzio
è il tuo dono inaspettato
nei giorni abissali
quando ad ogni ora
scrivo due righe sul tavolo della cucina,
il tuo silenzio che compenetra
il volo di cento, duecento farfalle
tutte assieme.
E io che cerco ancora
di domandarti come sopravvivi
in quale stanza dormi
di chi ti ricordi per sorridere,
dove hai lasciato la mia ultima poesia.
Qui
dove tutto è una sterminata domenica,
dove le finestre sono sempre aperte
per far entrare la pioggia
e la polvere della città,
qui, adesso
imparo a disegnare il profilo
sconnesso e sonnambulo
delle parole che vorrei poterti scrivere
in un mondo o nell’altro.