Una Tiananmen di scarto, critica al giornalismo senza midollo

Creato il 13 giugno 2014 da Pietro Acquistapace

Bandiera cinese

Conoscere tutto è impossibile, un’impresa al di là delle possibilità umane. In una delle versioni della mitologia nordica Odino per bere alla fonte della conoscenza si cava un occhio e lo porge al gigante Mimir, custode della fonte, mentre due corvi vagano per il mondo con il compito di riportagli ogni giorno notizie. Se Odino ha bisogno di intemediari, figurarsi noi poveri mortali alle prese con fatti che accadono lontano, come lontana è piazza Tiananmen (天安门广场). A volte l’immagine della realtà, mediata da immagini e resoconti, è ritenuta più vera della realtà stessa, anche quando gli avvenimenti sono tragici e complicati, come quelli avvenuti a Pechino la notte tra il 3 ed il 4 giugno del 1989.

Della tragedia di quella piazza pensiamo di sapere tutto, è uno di quelli avvenimenti estremamente semplificabili dove la divisione tra buoni e cattivi appare assolutamente netta. Il mondo civile e democratico può tranquillamente schierarsi dalla parte giusta, mentre il circo mediatico costruisce una realtà semplice e fruibile, magari riassumendola in un’immagine, come è stato per Tiananmen. Eppure la realtà è complessa, come mostra – proprio a proposito di Tiananmen – un vecchio libro, molto bello, che ho trovato tra gli scarti della biblioteca di cui mi servo regolarmente, purtoppo la conoscenza è ormai questione di budget, quantificata e prezzata: stiamo parlando di Tien An Men, scritto da Ilario Fiore.

In questo diario l’autore, corrispondente RAI del tempo, ha il grande merito di tentare di capire i fatti che portarono a quella sanguinosa notte, oltre che alle possibili conseguenze. Un libro scritto in presa diretta, assai lontano da quegli istant book oggi di moda che, nelle migliori delle ipotesi, sono un articolo lungo ed in quelle peggiori un atto di sciacallaggio. Fiore non mitizza gli studenti, mette anzi in ridicolo gli occidentali che lo fecero in quei giorni, rilevandone tutti i limiti pur mostrando simpatia verso di loro. Gli studenti di Tiananmen erano dei privilegiati, una classe media in ascesa, con un “mito americano” goffamente rappresentato dall’edificazione, con i soldi delle offerte del popolo, di una statua della libertà davanti alla Città Proibita.

Certamente Fiore non ama la classe dirigente che ha deciso di sparare sui dimostranti, criticandone una parte in maniera molto dura, tuttavia osserva come agli studenti mancassero capacità politica e pragamatismo, al punto da sembrare spesso davvero ingenui. Forte è la differenza tra loro ed il Sindacato Autonomo, il simbolo della radicalizzazione dello scontro, su cui l’autore fa pesare il sospetto di infiltrazioni esterne. I lavoratori sono lo sfondo di tutto il libro, a cui Fiore dedica pagine molto belle, così come al popolo cinese, a quelle persone che vedono negli studenti il loro futuro, accudendoli e portando sulla piazza cibo e vestiti. Il popolo cinese risulta essere il grande protagonista del libro, un popolo abituato alle sofferenze, che tuttavia affronta il destino con un sorriso. Un popolo che attacca i soldati, di cui l’autore offre un’immagine non stereotipata, per ragioni forse diverse da quelle studentesche.

Questo libro è lontanissimo dal leggere i fatti con categorie occidentali, cercando invece di capire, entrare nella profondità delle cose. Proprio il contrario di quanto accade oggi dove il giornalismo moderno vive grazie a internet, dove la verifica delle fonti è di fatto impossibile, facendosi inoltre portatore di un pensiero debole al servizio dei poteri forti. Oggi i veri giornalisti sono pochi e spesso sono giovani freelance che vanno allo sbaraglio rischiando la propria vita, pagati poco e male. La volontà di conoscere, ma soprattutto di far conoscere può risultare scomoda. Oggi il giornalismo è gridato, la qualità si misura sul consenso facendo del giornalista un megafono, quando non un imbonitore.

La statura di giornalisti come Ilario Fiore sta anche in questo, nell’avere idee proprie ma senza che queste inquinino le pagine scritte. L’obiettività assoluta è spesso paravento della malafede, Fiore lo sa e trae le sue conclusioni – che sono forti – a fine libro, ma la qualità del libro vale un possibile dissenso. Se Odino doveva fidarsi dei suo corvi, a noi non resta che dubitare dei nostri, sempre.


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