Attimi prima del release!
Esistono creature plasmate dai sogni, così belle che non sappiamo descriverle.
Quando le rughe sulla superficie dell’acqua si distendono, al pescatore è dato spiare il fondale, il sipario si apre e si cerca con occhi avidi l’apparizione del sogno. Quasi sempre, innumerevoli volte, il palcoscenico è vuoto, solo sassi e ombre scure, eppure, le creature esistono. Serve l’inganno del pescatore e tutta la sua fantasia, per evocare un pesce da favola.
L’acqua del Sesia
Spengo la sveglia prima ancora che suoni, non ho dormito molto ma non si tratta di andare in ufficio, si tratta di pescare, di respirare montagna, di ascoltare il fiume e di voler afferrare i sogni. In pochi minuti sono vestito, con le palpebre pesanti ma un ruggito latente nello stomaco. L’amico Simone bussa alla vecchia porta di legno della stanza, sono le cinque e quarantaquattro minuti, è puntualissimo, ma lo sono anche io.
La sera prima, ebbri di una giornata favolosa, abbiamo deciso di pescare in alta valle, dove ancora un manto bianco e soffice copre le sponde e ovatta ogni suono.
Parcheggiamo con cautela mentre le ruote fanno scricchiolare neve e ghiaccio. Armiamo le canne sorridenti: è l’alba!
La lama d’acqua corre scura, lenta e profonda, è il momento più carico di aspettative: primi lanci alle prime luci.
Alterniamo esche ogni due o tre lanci, accucciati tra i massi innevati. Simone per lo più con rotanti argento e minnow di dimensioni ragionevoli, io con snodati di dimensioni generose ed esche siliconiche piombate. L’aria è fresca, qualche parola tra noi, l’archetto del mulinello che scatta e il costante canto del fiume, non c’è altro.
Dettaglio di pinna pettorale
Iniziamo a risalire, Simone mi precede, un lungo raschio lo peschiamo velocemente e ancora non si è vista una pinna. Eppure le condizioni sono analoghe alla settimana prima, quando pescare ha regalato grandi soddisfazioni, e sono uguali a ieri, quando all’alba ho preso due marmorate… io continuo a crederci anche se il sole inizia a salire, benedicendo il cielo velato di nuvole. Sono quasi le sette.
Simone è a monte, lancia lungo e recupera a favore di corrente, una pesca veloce in cerca del pesce in caccia; io pesco più lento e pratico quell’esercizio mentale ripetuto migliaia di volte: immagino il fondo del fiume e le tane delle trote dei miei sogni. Quando immagino dove si trova la creatura, capisco come fargli arrivare l’esca in base a ostacoli e correnti, e scelgo l’esca con cura, secondo un equilibrio tra istinto e razionalità. Un lancio a pochi metri da me, aspetto che l’esca affondi il giusto, respiro con calma per godere della pace del momento, per essere consapevole che tutti i preparativi meticolosi fatti nelle ore e nei giorni precedenti, sono stati fatti per questo momento; guardo l’acqua scura e so che tutti gli anni che ho passato a pescare sono stati un percorso e che questo attimo è solo un passo lungo il cammino. Chiudo l’archetto e non penso nulla di tutto ciò.
Recupero. Arresto. Ferrata repentina e lunga… La canna si flette violentemente fino a piegarmi il polso, strappata da una testata brutale.
La vedo bene finalmente, è lunga, scura e indiavolata! Piano piano accorcio le distanze e, camminando sulla sponda, cerco di tenermi a valle; mentre si scuote energicamente rompendo la superficie dell’acqua vedo chiaramente che il piccolo amo singolo della mia esca è puntato sul labbro superiore, mentre tutta l’esca sporge fuori dalla bocca… Terrore! Da questo momento sono terrorizzato, è davvero allamata in modo delicato! Vedo Simone fare una foto e gli ringhio di mettere via la macchina fotografica! Provo ad accostarla a riva, con la mano sinistra libero il guadino dalla calamita che lo fa pendere sulla mia schiena, ma una fuga veloce della trota verso il centro del fiume mi costringe a tenere salda la canna mentre il guadino resta in acqua ai miei piedi. Appena si arresta la fuga la avvicino di nuovo, cerco di non avere esitazioni, di farle sentire che io non sono stanco, che è il tempo della resa. Eccola contro i sassi della riva, eccomi con il guadino sulla sua coda; lascio la canna a terra e la infilo nella rete. Presa! Presa! Presa!
Pietro e la Grande Trota
E’ davvero portentosa! E’ grossa sul serio, ben più di quella grande dell’Apertura della scorsa settimana… Accanto al letto del fiume una pozza d’acqua lenta circondata da sassi è perfetta: libero la trota in quella piscina e con Simone la osservo estasiato!
Lunga, scura, pinne enormi, sana, massiccia, alta e forte dalla testa alla coda. Selvatica e selvaggia come solo le più antiche creature cresciute nella corrente sanno esserlo.
La livrea quasi non presenta marmoreggiature, ma bellissimi punti neri… tremo pensando si possa trattare di una mastodontica fario, ma la coda a timone, la forma della testa e l’opercolo, fanno vedere il suo dna di marmorata: è un ibrido!
Simone è felice quanto me, non capita spesso di vedere simili meraviglie. Quando lui è pronto a scattare la sollevo per qualche secondo mentre lui scatta a ripetizione. Lo faccio due o tre volte e poi è il momento emozionante del rilascio. Simone è pronto con la fotocamera, ci riempiamo gli occhi ancora una volta di quella rara bellezza mentre la ossigeno avanti e indietro nell’acqua tenendola per la coda… sembra superfluo infatti da subito è pronta a scattare, mai come questa volta ho avuto l’impressione di non aver ferito la mia cattura.
Libera! Un fulmine nero sparisce nell’oscurità, ritorna materia di sogni, ritorna mistero e desiderio lasciando una scia di felicità. Dall’antro più scuro del fiume ha portato luce di pura gioia nei cuori dei pescatori che l’hanno evocata.
Occhiaie e felicità alieutica!
Una trota di pura meraviglia che ricorderemo a lungo.
Il pensiero vola alla trota dei miei sogni, la cattura più bella; e questo momento si unisce a quel racconto. Non posso fare a meno di pensare che qualcuno lassù abbia messo una buona parola per me con gli dei della pesca! Vorrei tanto raccontargli anche questa storia, ma chissà, forse l’ha vista in diretta e sorride compiaciuto…
Magnificient Sesia
Ci abbracciamo ed esultiamo, Simone ed io, telefoniamo al maestro Savio e lo tiriamo giù dal letto, smettiamo di pescare per festeggiare con una colazione al bar. Il sole si è scrollato le nuvole ed ora è una giornata mite, quasi primaverile. Andiamo a visitare il museo della pesca di Varallo, ma io mi addormento appena incontro una panca in legno! Il resto della giornata è fatto per lo più di chiacchiere, un pranzo con i miei due amici e poi due lanci con il maestro Savio, in giro per il nostro meraviglioso fiume. Posti incantevoli, natura, e acqua, e pesca sincera; pesca fatta con passione ed esperienza, senza secondi fini, senza sponsor, senza manie, senza trucchi, senza ipocrisie; il piacere di pescare e di condividere la pesca nei suoi aspetti più belli. Così peschiamo e così viviamo ed animiamo questa pagina.
Pietro, Savino e Simone nelle sale in allestimento del Museo della Pesca di Varallo Sesia
Prima di lasciare il fiume e tornare alla città, raccolgo come sempre qualcosa dalle sponde; penso a tutte le esche che perdo, quindi a piombo, ferro, vernici, plastica e anche parti di nylon che restano in acqua… non lo facciamo apposta, ma noi pescatori non siamo affatto a impatto zero come spesso diciamo di essere!
Per questo ad ogni uscita credo che tutti noi si debba tirare via dal fiume qualche plastica trovata, almeno in misura pari a quanto abbiamo lasciato noi nel fiume, per poi buttarla in un cassonetto. Piccoli gesti, grande valore.
Oggi sono stato fortunato e porto via un grande rifiuto: un estintore, ed anche un avvolgi-lenza in plastica.
Guido solo verso casa, il sole è ancora alto, ma non ho cuore di pescare ancora, il fiume oggi mi ha dato più di quanto potessi chiedere. Canticchio come un ragazzino e non penso ad altro che alla mia cattura, alla mia creatura di sogno. Un’altra storia di pesca vissuta. Una storia a lieto fine da rivivere e raccontare.
Rock’n’Rod
See You Spoon
In Rod We Trust