Ieri a Udine un ciclista cinquantunenne è stato ucciso dal guidatore di un SUV, in viale Volontari. È il terzo morto in tre giorni in Friuli, dopo un pedone a Pagnacco e una ciclista a Montereale.
Se volete capire l’aria che tira, vi invito a leggere i commenti all’articolo. Qualcuno, per fortuna poi contestato dagli altri, ha dato la colpa al ciclista. Altri lettori invece hanno sottolineato come la ciclopedonabile su quella stessa strada sia quasi inutilizzabile, soprattutto di sera, e quindi non ce la si possa prendere con chi va sulla strada. Inoltre non è chiara la dinamica dell’incidente: magari il ciclista doveva girare.
Io vado in bici tutti i giorni e percepisco chiaramente l’odio e la paura che gli udinesi hanno delle biciclette. Continuamente, a torto (soprattutto) o a ragione, vengo ripresa: non si passa per di qua, non si corre, non si lascia la bici qui… Mi si sgrida se appoggio la bici in un angolo di un portico largo quattro metri dove non passa mai nessuno, se pedalo in centro a passo d’uomo, prima che il casco si diffondesse sentivo la gente che mi urlava prese in giro… I vecchi in particolare sono tremendi. Mi dispiace dirlo, ma raramente li si vede in bicicletta, senz’auto appaiono perduti, e sono quelli che più inveiscono contro le bici che passano. Un po’ di tempo fa ho visto una coppia anziana guardare ammirata un parcheggio: “guarda che bene che hanno fatto qui”, dicevano. Una volta al posto del parcheggio c’era un praticello con un albero che faceva i fiori a marzo. È la loro generazione, e quella dei miei genitori, che ha cementificato l’Italia, c’è poco da fare. Starà a noi, soprattutto, rimediare.
Io mi sforzo di essere disciplinata e penso, ovviamente, che tutti i ciclisti debbano fare altrettanto, ma le accuse sono assurde. Una bicicletta non è pericolosa come un’auto, per lo spazio che occupa e per le velocità che raggiunge, e anche per la rapidità con cui può frenare; inoltre se i ciclisti vanno contromano o sui marciapiedi (e lo so che non si deve fare) spesso è perché sulla strada non c’è posto, perché è occupata da due file di parcheggi, perché andare nel senso consentito costringe a un percorso lungo il doppio e più pericoloso, perché pedalare sui sassi è impossibile, o perché la ciclabile è usata come parcheggio, o non c’è. Altre volte, come su via Zanon, per girare a destra bisogna uscire prima dalla ciclabile; non facendolo si perde più tempo e forse si rischia anche di più. La ciclabile di viale Trieste è una vera gimcana, mentre le macchine filano dritto con grande rischio di chi si azzarda ad attraversare. Inoltre il codice della strada andrebbe probabilmente riformato per venire incontro alle nuove esigenze. Sapevate per esempio che è vietato appoggiare la bici su un marciapiede, anche se non c’è altro posto dove metterla?
Eppure l’amministrazione, i vigili urbani, la stessa popolazione sono molto più indulgenti con gli automobilisti. I commercianti passano la loro vita, più che a cercare di attirare clienti, a chiedere parcheggi: non bastano mai, mai, mai, ne vorrebbero sempre di più, sempre più vicini… I vigili poi, sono un capolavoro di ignavia. Li si vede fare di tutto: parlare con la gente, passeggiare, conversare a due a due, agitare le palette, addirittura stare al cellulare – ma multe quasi mai. Oggi mi sono avvicinata a due che parlamentavano e ho chiesto: fate delle multe? E loro mi hanno risposto che non riuscivano: appena li vedevano arrivare gli automobilisti scappavano. Basta così poco, ho pensato io! Eppure di auto in divieto la città è piena in ogni momento, anche senza il conducente dentro. Strano…
Un automobilista indisciplinato e un ciclista indisciplinato sbagliano entrambi, ma il costo per la società e il rischio sono molto maggiori per il primo rispetto al secondo. Ho la percezione che dopo ogni incidente ci sia una parte di persone restia a prendersela con l’automobilista, perché sente che sarebbe potuto capitare anche a loro, un momento fatale di distrazione, di fretta, di nervosismo…
Io so che è così, e perciò non guido: riduco il rischio creato da me stessa.
Sono due mesi che non salgo su un’automobile e ci sto prendendo gusto: riesco ad arrivare dove voglio arrivare, non dipendo da nessuno e mi sento libera. Il sito senzauto.it mi fa sentire meno sola e mi dà interessanti informazioni; e da poco ho scoperto l’esistenza di un’ulteriore soluzione: la cargo bike (un triciclo con un nome moderno), per trasportare anche bambini o carichi. Se elettrica, penso che potrebbe andare bene anche in montagna.
Insomma ho pensato che il mio boicottaggio potrebbe diventare una cosa permanente, come l’essere vegetariani o astemi: c’è chi rifiuta la carne, chi il vino, e chi l’auto (per inciso, io sono molto moderata anche nei primi due, nonché anti-consumista al massimo, e non guardo la tv, per cui boicotto tutti i principali vizi della nostra società).
È inutile dire che non ci sono alternative all’auto: bisogna crearle e creare la domanda di alternative. Se nessuno carica la bici sul treno, il capotreno (come mi è capitato l’altro giorno) non saprà neanche dov’è il vagone dedicato; ma se arriviamo in venti, in trenta, ogni volta, dovranno organizzarsi anche per noi. Possiamo formare comitati come quelli dei pendolari, anche se purtroppo in Friuli Venezia Giulia mi sembra che ci sia una vera fatica a coordinarsi e troppi litigi. Soprattutto, dobbiamo a far capire agli eletti che non devono spendere per strade e parcheggi, ma per trasporti pubblici e ciclabili. E uno dei modi più semplici per farlo capire è farsi vedere per strada a piedi o in bicicletta, riempire autobus e treni.
A proposito di cose da fare: il comitato Mobicittà ha in programma di riattivarsi. Abbiamo bisogno di una mano, se qualcuno vuole darla può mettersi in contatto con me o con le associazioni che partecipano (WWF, Legambiente, M5S, FIAB).
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