Davide Toffolo è nato a Pordenone nel gennaio del 1965. Vero innovatore nel campo del fumetto e tra i maggiori autori italiano di graphic novel, ha all’attivo numerose opere tra le quali – solo per citarne alcune – Pasolini, Il Re Bianco, L’inverno d’Italia e Très! Fumetti per il teatro. Motore di esperienze importanti come il gruppo “Mondo Naif” e le riviste “Dinamite” e “Fandango”, è molto amato anche per la sua seconda identità, quella di cantante del gruppo art-rock Tre Allegri Ragazzi Morti.
[biografia tratta dal volume Graphic novel is dead]
In occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro a fumetti, Graphic novel is dead (qui l’anteprima che Lo Spazio Bianco ha dedicato all’opera), abbiamo intervistato Davide Toffolo per approfondire i temi che vengono sviscerati in questa sorta di autobiografia e capire quali sono i suoi pensieri in merito al fumetto in generale e al suo modo di vedere il fumetto.
Ne è risultato un piacevole dialogo che arriva a toccare anche la sua attività di musicista e le sue esperienze personali.
Nudo e crudo. Senza retorica, spero.
Perché questo titolo provocatorio? Ha a che fare con l’abuso che il termine “graphic novel” ha conosciuto in Italia negli ultimi anni, o rappresenta un ragionamento più profondo sullo stato di salute della narrativa a fumetti nel nostro Paese?
È un urlo che ha due significati. Uno che la graphic novel finalmente esiste. L’ altro è che almeno nella mia versione è uno spazio di libertà, non di costrizione. Il linguaggio è finalmente adulto e può muoversi dove vuole. Io ho una idea su che cosa è la graphic novel. È la prima volta che esiste una forma unica per il fumetto globalizzato. Lo può fare un autore a Pordenone come a New York o al Cairo. E lo puoi trovare nelle librerie di Pordenone come di New York etc etc.
Sai che io sono doppio. Fa parete della mia natura. Le due scritture in me si sostengono da molto tempo. In questo ultimo lavoro ho raccontato la mia vita di rock star, per la prima volta a fumetti. Ho usato una tecnica narrativa nuova. Sono quasi tutte tavole uniche. Praticamente una sequenza di canzoni disegnate.
Come si riesce a racchiudere la propria esistenza in 140 tavole di fumetto? E in 12 tracce di un album musicale?
Non si può. Ma qualcosa di vero si riesce a metterlo dentro. Importante è che quella finzione sia fatta bene, sia credibile e parta da una emozione sincera. A quel punto un po’ di puzza di vita resta attaccata.
Un gioco. Il Gianni Boy del fumetto è un fantasma della mia vita reale che vive con me. Un lutto che ho avuto da ragazzo e ogni tanto mi piace ritrovare nelle mie storie.
I concerti dei TARM hanno una loro liturgia ben definita (il costume da yeti, farsi mandare affanculo per ricordarsi di non essere superiori al pubblico, salutare il pubblico augurando di finire la serata facendo l’amore etc.): pensi che anche le tue opere a fumetti seguano delle liturgie particolari?
Non credo. Almeno io non le riconosco. Ci sono temi che ritornano, come il rapporto fra le generazioni, la trasformazione dell’uomo in una merce… la maschera dei Tre Allegri è quella simbologia, la diversità, ma una ritualità comune nelle storie non la riconosco.
Ho immaginato questo libro come la tappa di un percorso sulla costruzione di un personaggio pubblico anomalo quale sono. Ma la mia è anche, mio malgrado, una esistenza esemplare. Parlo di me ma anche di quello che è intorno. Le autobiografie sono oggetti complicati. E comunque autobiografie sono moltissime delle graphic novel più importanti, da Maus a Persepolis. Le prime sensazioni sul mio nuovo lavoro mi hanno fatto felice. Parlo di me ma non c’è celebrazione.
Leggendo il tuo ultimo fumetto, si nota subito come questo rappresenti un’opera molto intima e personale. Come mai la scelta di un’autonanalisi del genere proprio ora?
Sarà l’ eta? Io sono più machiavellico, ma alche viscerale. Avevo bisogno di un momento di discontinuità con gli ultimi lavori. Tutti i
miei libri sono diversi fra loro, ma questo è un lavoro davvero nuovo.
Ogni tanto una posizione la prende, parlo di quando mi caca sulla faccia per esempio. Avevo bisogno di una spalla per costruire un personaggio stilizzato, iconizzato. Davide e Pepito. Irresistibili.
In quest’ultimo tuo lavoro a fumetti insisti più volte sulla volontà – espressa in numerose interviste nel corso degli anni – di non aderire allo schema prefabbricato del successo e di tutto quello che comporta, volendo restare sempre e comunque sullo stesso piano del tuo pubblico: pensi di essere riuscito a mantenere questo impegno, fino ad oggi? L’apertura dei concerti di Jovanotti negli stadi, la scorsa estate, ha reso questo intento più complicato da tenere vivo?
Il gioco si è fatto più duro, certo. Ora sono una star e ora si può giocare con armi nuove. Si capirà meglio nei mesi prossimi il mio intento.
Siamo in tre sempre. Io disegnatore, io rock star e io uomo. Questo è un libro di interrogativi, non di risposte. Ha la forma di una novel ma il contenuto è più vicino alla poesia che al romanzo. Che dicono sia davvero morto.
Nel fumetto, verso la fine, citi con precisione il Napoli Comicon 2013: cosa ha rappresentato per la tua carriera e il modo di intendere la tua figura di cantante e fumettista questo evento?
Le fiere del fumetto sono gioia e pena degli autori. Lì ancora l’immaginario collettivo prodotto dal fumetto mostra tutta la sua natura ludica ed emulativa. A Napoli ho provato a pacificare questa contraddizione. Nella trasformazione di un autore in personaggio sono andato fino in fondo. Uguale fra gli uguali. Mi sono divertito.
Sì, è il posto migliore per parlare di cose profonde. Almeno quello che io preferisco. Dentro al letto il mondo fuori praticamente non esiste. Il tempo è fermo. Niente di meglio per parlare delle cose importanti della vita.
Nel libro torna più volte la figura di tuo padre: che significato assume all’interno del volume, e di conseguenza come è stato importante nella tua vita e nelle tue scelte?
Il rapporto con mio padre è stato fondamentale in tutte le mie scelte. Anche nel conflitto. E poi si sarebbe divertito a pensarsi a
posteriori in una mia storia. Ho voluto con me, in questa avventura fantasmi, personaggi dei miei fumetti precedenti, amici reali per
filosofeggiare sull’esistere contemporaneo. Penso che il libro sia anche un po’ questo.
Il riferimento a Zerocalcare, ripetuto più volte in una gag con i suoi reprise, oltre ad essere divertente per come viene messo in scena suggerisce quasi un “passaggio di consegne”: il Toffolo dei Cinque Allegri Ragazzi Morti dipingeva i giovani italiani degli anni ’90 come zombie incompresi, Zero come figli della nostalgia e del bisogno di arrangiarsi.
Ritieni che l’autore romano sia riuscito a centrare il “qui e dove” come avevi fatto tu vent’anni fa?
Bella questa tua riflessione. Dà al mio lavoro il peso giusto. La condivido. È una specie di passaggio di consegne generazionale. E poi mi piaceva anche raccontare l’ invidia, una brutta bestia che convive con molti, me compreso.
La scena a pagina 87 è curiosa e simpatica: davvero, e perché, secondo te l’Italia è un film di Fellini?
L’ho capito stando un periodo a stretto contatto con una ragazza di New York che era venuta a vivere a Pordenone e che ho scarrozzato in giro per l’Italia. Vedere le cose che conoscevo con i suoi occhi mi ha fatto una certa chiarezza su ciò che davvero siamo. E davvero Fellini ci assomiglia, con i suoi preti le sue maggiorate i suoi deliri psicanalitici e le sue arie di festa popolare. Quella strana dolcezza, nonostante la deriva che viviamo, sono ancora completamente Italia.
Nonostante il titolo e la componente autobiografica, ci saranno altri fumetti firmati da Davide Toffolo? Dove ti ha portato la riflessione su questo mezzo, condotta (anche) durante la realizzazione che Graphic Novel Is Dead?
Certo che ci saranno nuovi fumetti. Intanto ripubblicherò in digitale tutti i miei vecchi lavori. Per le cose nuove mi aspetto anche io
avventure inaudite. Avventure? Forse è questa la parola chiave prossima.
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