Ogni volta che vedo un film con Toni Servillo, mi domando come abbia fatto il cinema italiano finora a stare senza di lui. E' un grandissimo attore, una pietra preziosa per qualsiasi film lui scelga di fare. In un attimo, si azzerano tutte le alternative possibili. C'è un "parco attori" di tutto rispetto in Italia, ma "come lui nessuno mai". Questo per dire che il premio ricevuto al Festival di Roma per l'interpretazione del camorrista fuggito in Germania nel film di Claudio Cupellini "Una vita tranquilla" non è meritato. Di più.Servillo è un uomo dalla doppia personalità e dal doppio vissuto. Inizialmente sembra difficile potergli accostare le esperienze di un sanguinario ex boss di camorra. Poi, con l'evoluzione del film, l'attore dà una grande prova interpretativa, facendo trapelare, in modo non plateale, ma "umano", quello che doveva essere il vissuto del personaggio prima dell'esilio volontario.Il film è...un buon film. Di respiro molto europeo. E non solo perchè ambientato in Germania. Cupellini rende fruibile ad un pubblico decisamente più vasto di quello nazionale una storia di camorra che, resa in altro modo, potrebbe non uscire fuori dai confini del paese. Invece "Una vita tranquilla" può essere apprezzato anche da chi campano e italiano non è. "Merito", forse, anche dei meccanismi che ormai il sistema camorristico ha instaurato: l'organizzazione criminale con i suoi interessi economici, le sue sostanziali infiltrazioni nell'affaire munnezza, è tutto tranne una banda di criminali da strapazzo. La pellicola è costruita come un noir. Elegantemente centrale è anche il rapporto padre-figlio, anzi padre-figli. Un ciclo di vita che si ripete nell'esistenza del personaggio principale. Il male che ha fatto non si può sotterrare. E riemerge tutto a galla, travolgendo tutto e tutti. Forse il finale paga troppi colpi di scena. E non tutto fila secondo i criteri della logica. Ma sono imperfezioni su cui si può soprassedere. Da vedere, comunque. Servillo che piange in auto è da Oscar.
Ogni volta che vedo un film con Toni Servillo, mi domando come abbia fatto il cinema italiano finora a stare senza di lui. E' un grandissimo attore, una pietra preziosa per qualsiasi film lui scelga di fare. In un attimo, si azzerano tutte le alternative possibili. C'è un "parco attori" di tutto rispetto in Italia, ma "come lui nessuno mai". Questo per dire che il premio ricevuto al Festival di Roma per l'interpretazione del camorrista fuggito in Germania nel film di Claudio Cupellini "Una vita tranquilla" non è meritato. Di più.Servillo è un uomo dalla doppia personalità e dal doppio vissuto. Inizialmente sembra difficile potergli accostare le esperienze di un sanguinario ex boss di camorra. Poi, con l'evoluzione del film, l'attore dà una grande prova interpretativa, facendo trapelare, in modo non plateale, ma "umano", quello che doveva essere il vissuto del personaggio prima dell'esilio volontario.Il film è...un buon film. Di respiro molto europeo. E non solo perchè ambientato in Germania. Cupellini rende fruibile ad un pubblico decisamente più vasto di quello nazionale una storia di camorra che, resa in altro modo, potrebbe non uscire fuori dai confini del paese. Invece "Una vita tranquilla" può essere apprezzato anche da chi campano e italiano non è. "Merito", forse, anche dei meccanismi che ormai il sistema camorristico ha instaurato: l'organizzazione criminale con i suoi interessi economici, le sue sostanziali infiltrazioni nell'affaire munnezza, è tutto tranne una banda di criminali da strapazzo. La pellicola è costruita come un noir. Elegantemente centrale è anche il rapporto padre-figlio, anzi padre-figli. Un ciclo di vita che si ripete nell'esistenza del personaggio principale. Il male che ha fatto non si può sotterrare. E riemerge tutto a galla, travolgendo tutto e tutti. Forse il finale paga troppi colpi di scena. E non tutto fila secondo i criteri della logica. Ma sono imperfezioni su cui si può soprassedere. Da vedere, comunque. Servillo che piange in auto è da Oscar.
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