una volta quando mi ammalavo era bellissimo
passavo ore a dormire e le altre ore a leggere.
una vera pacchia.
e pazienza se avevo il mal di gola,
se tossivo o soffocavo per il catarro (sic!),
se la testa pulsava o la pancia era territorio di guerra.
io me li godevo quei giorni di silenzio, abbandono, vuoto.
che poi magari c'era pure qualcuno che si prendeva cura di me,
mi preparava la minestrina e il tè con i biscotti, mi rimboccava le lenzuola.
anche adesso, a dire la verità, se mi ammalo e sono l'unica della famiglia non è male.
almeno parte della giornata è dedicata, come allora, al nulla o a un romanzo.
poi rientrano gli unni, e vabbè.
in questi giorni però mi sono ammalata con ettore.
bronchite per entrambi, antibiotici e aerosol in parallelo.
e tutti e due a casa.
più che insieme, appiccicati.
più che silenzio, frigne a go go.
più che romanzi, gran letture di pimpe e filastrocche.
più che oggetto di coccole e attenzioni delicate,
soggetto di premure per il nanetto sanguisuga.
ho resistito due giorni.
poi ho deciso.
sono guarita, anche se non è proprio vero.
il lavoro mi chiama, con urgenza inderogabile.
e ora che sono in redazione finalmente mi riposo.
nessuno piange, nessuno mi si appende addosso, nessuno pretende di essere lui un pirata e io il suo cavallo.
e c'è pure la macchinetta che mi prepara il tè.
una vera pacchia.