Una volta qui c’era un endorsement

Creato il 23 maggio 2014 da Dave @Davide

Le opzioni in campo per la scelta, a mio modo di vedere, sono le seguenti: un partito di governo (di un governo deludente) che cerca di tirare avanti come quello precedente, e per ora ha cambiato poco. Il suo leader, Renzi, si barcamena tra annunci di ripresa, arretramenti indotti dai dati sul Pil, patti di coalizione traballanti e alleati esterni perennemente bizzosi. Dell’aria di rottura-e-cambiamento delle primarie del suo partito, quando la «ditta» di bersaniana memoria sembrava destinata a non lasciare traccia di sé, rimane un po’ poco. C’è poi una formazione trasversale – comprendente Lega e Fratelli d’Italia – che affibbia (spesso goffamente) all’euro l’origine dei mali del paese, dimenticando o soprassedendo sulle conseguenze di un fantomatico e improbabile ritorno alla lira, e non lesinando in retoriche xenofobe e pseudo-nazionaliste. C’è Forza Italia, partito più simile a una trita e ripetitiva Hall of Fame del berlusconismo che a una forza politica di centrodestra.

Abbiamo anche una lista presunta intellò che, nella sostanza, è ascrivibile al fortunato filone “formazioni di sinistra radicale che dovremmo votare soltanto perché sono di sinistra radicale” (per certi versi l’equivalente simmetrico e complementare delle precedenti di destra). Della vecchiezza di toni e contenuti della lista Tsipras, buona magari per qualche nostalgico e una manciata di indottrinati, in molti non avranno nemmeno saputo, a causa di un’attenzione mediatica oggettivamente non di favore, pari a quella ricevuta dalle altre formazioni minori. L’epopea dell’iniziativa italiana a sostegno del politico greco è davvero difficile da incasellare in qualcosa di diverso da una mera riproposizione del partitino antagonista e sfilacciato, à la Ingroia (per citare l’ultimo che aveva seguito questa strada).

L’interlocutore prediletto di Spinelli & co., invece, si chiama Movimento 5 stelle. Il suo leader-capo si dice «arrabbiato», ma perché la sua rabbia, spiega, è «il sogno degli italiani», si definisce «oltre Hitler». Beppe Grillo, sostenuto dai «ragazzi» con cui gli Tsipras tengono a dialogare, vuole mettere alla gogna i giornalisti, i lobbisti, i politici, non disdegna riferimenti non velati alla marcia su Roma, dice che se vincerà lui andrà al Quirinale, vorrà il governo per lui, inizieranno i «processi pubblici» e le rivoluzioni per le strade. Tutto verrà distrutto per iniziare a far vincere gli «onesti», che in Italia com’è noto sono una maggioranza silenziosa e curiosamente propensa a vedere mafiosi ovunque, esultare forsennatamente per l’apertura di un’inchiesta e accettare di buon grado rimandi al regime fascista.

Per finire, c’è Scelta Europea, che sostiene il candidato che forse preferisco, Guy Verhofstadt, ma è composta di partiti che non si può far altro che definire fallimentari (uno di questi è quello che ho votato nel febbraio scorso). A fronte di queste opzioni, e soppesando la mia intenzione di vivere in un paese dominato da forcaioli, ignoranti mascherati da «onesti» e capi autoritari che non hanno problemi ad accostare il proprio nome a quello di Hitler, penso che voterò Partito democratico. Non convintamente, né con soddisfazione. Il punto vero, come scrive Nicoletta Tiliacos sul Foglio di oggi in un pezzo magistrale, è che «i tam-tam nella boscaglia li abbiamo sentiti altre volte, e tutte le volte erano i cannibali». Grillo non vi farà abitare in un paese normale, vi farà sentire solo un po’ meno colpevoli. Si è specializzato nel dare un alibi raffazzonato e qualunquista con cui dichiararsi innocenti («onesti») e vittime di giochi malvagi più grandi. Per dirla con le parole di una battuta di Gipi: «Ma tutto questo scegliere con il cuore, con la pancia, con l’anima, è dovuto al fatto che non avete il cervello?».

Se la terza Repubblica dev’essere quella dei vaffanculo, dei processi sul blog ai dissidenti e dei toni da regime totalitario, credo sia mio preciso dovere fare in modo che non inizi nemmeno. Magari per qualche fine luminare questo ragionamento mi renderà un «renziano», intendiamoci. Ma si tratterebbe comunque di un prezzo che vale la pena pagare.

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