Speciale: X-Men: 50 anni mutanti
- X-Men: 50 anni vissuti da mutanti
- X-Men: 50 anni e non sentirli – Prima Parte
- The X-Men, la fondazione: il ciclo di Stan Lee & Jack Kirby
- Gli X-Men di Neal Adams
- X-Men: 50 anni e non sentirli – Seconda Parte
- Marvel Comics – Una Storia di Eroi e Supereroi: aneddoti mutanti
- God Loves, Man Kills: la parabola di Claremont sul razzismo e la difficoltà di resistere all’odio per il diverso
- X-Men Seconda Genesi: I tanti padri della rinascita degli X-Men
- X-Autori #1: parla Chris Claremont
- Una X sul Sole: “Giorni di un Futuro Passato”
La storia
Pubblicata sui numeri 141 e 142 di Uncanny X-Men, Giorni di un Futuro Passato racconta un avvenire da incubo, in cui i robot controllori Sentinelle hanno instaurato un regime di segregazione razziale ai danni di quel che resta del genere umano e soprattutto dei mutanti, discriminati in ragione del loro genoma speciale. Per tentare di modificare il corso degli eventi che hanno portato le Sentinelle ad assumere il potere, l’ormai matura Kitty Pride – uno dei pochi “super”stiti ancora in azione – torna indietro nel tempo (nel presente narrativo) per incarnarsi in se stessa teenager e cercare l’aiuto degli X-Men.
Se la trama vi sembra barocca, vuol dire che non siete assidui frequentatori della Scuola per Giovani Dotati di Charles Xavier e del variopinto universo narrativo allestitogli intorno dal deus X machina della serie, Chris Claremont, nel corso di un impegno quasi ventennale sulla testata Marvel dedicata ai mutanti.
Claremont touch
Giorni di un Futuro Passato è un perfetto compendio dello stile drammaturgico di Claremont, fondato su un uso sapiente degli stilemi e dei ritmi della narrativa popolare – dal feuilleton alle soap-opera – ricodificati all’interno della cornice supereroistica.
Prendiamo lo spunto della vicenda: viaggi nel tempo, ucronie, realtà parallele che s’incrociano… Sono evidenti i riferimenti a tutta una tradizione fantascientifica antecedente, da La macchina del tempo di H.G.Wells a La svastica sul Sole di Philip K. Dick. Lo sceneggiatore della Marvel riesce perfino ad anticipare lo sfruttamento intensivo dei paradossi temporali che il cinema hollywoodiano farà suo da lì a pochi anni con spettacolari franchise come Terminator e Ritorno al futuro. Per restare al fumetto, possiamo anche notare che Claremont, nel raccontare la svolta “autoritaria” dell’America del 2013, disegni uno scenario non dissimile da quello delineato, qualche tempo dopo, da Alan Moore nel capolavoro Watchmen: anche lì, in un’ America alternativa in cui lo scandalo Watergate non è mai avvenuto, i supereroi sono stati messi al bando.
Bolle di sapone mutante
All’impasto di risonanze trans mediali e di genere, Claremont e Byrne danno però una forma drammaturgica che è tipicamente seriale, tutta interna alla logica dell’universo narrativo in progress degli Uomini X.
Basti pensare alla scelta di costruire la vicenda attorno a Kitty Pride, personaggio nuovo entrato nella serie solo da alcuni numeri, ma che la storia – fin dalle prime vignette – ripresenta al pubblico in maniera imprevedibile e spiazzante. Il lettore ha appena iniziato a conoscerla come una teenager fragile, alle prese con i tutti i problemi dell’essere adolescente e, in più, la difficoltà di gestire i suoi poteri speciali; invece, nella vicenda, la vediamo come una donna forte e coraggiosa, temprata dalle asperità della vita e pronta a sacrificarsi per il bene comune.
Più in generale, sono frequenti, nel corso di tutto il racconto, riferimenti a vicende di episodi precedenti, o che suggeriscono – tra le righe – sviluppi successivi. Se ciò è vero in generale per tutte le serie Marvel, in cui vige l’amata/vituperata (a seconda dei gusti) continuity, ovvero la stretta concatenazione temporale tra gli eventi narrati, negli X-Men il gioco di finzione – portato avanti per anni e anni – ha dato luogo a un complesso intrigo di fili narrativi, un intreccio inestricabile che è valso a questa serie il soprannome di “Soap opera mutante”, come l’ha definita acutamente anche Luca Scatasta, editor storico delle pubblicazioni italiane dedicate agli Uomini X.
Per esempio, alcune delle esche espressive lanciate da Claremont e Byrne in Giorni di un Futuro Passato (la relazione tra Kitty e Colosso, il cambiamento interiore di Ororo, la conversione del malvagio Magneto a leader positivo, etc.) prenderanno all’amo e trascineranno il pubblico per diversi anni. E’ un gioco che può piacere o no, ma di cui non si può negare la raffinatezza – per certi versi eccezionale – nell’ambito del fumetto popolare.
La legge di Murphy-Xavier
Se, infatti, ne La saga di Fenice Nera, Claremont e Byrne avevano già utilizzato la dimensione della ‘morte’ - in quel caso con lo sconvolgente suicidio dell’eroina Jean Grey – per scardinare uno degli assunti positivi della narrativa popolare (“gli eroi non muoiono mai”), nella presente saga ucronica si spingono addirittura oltre.
Raccontando al lettore di come i suoi beniamini siano condannati a un futuro tetro, gli autori riscrivono il mood caratteristico del mondo Marvel. Non che nelle vicende di Spider-Man, Fantastici Quattro & Co. mancassero gli accenti drammatici ma il “sorridente” Stan Lee e gli artefici creativi della Casa delle Idee, avevano – fino ad allora – mantenuto un tono sostanzialmente positivo ed ottimista, se volete figlio del clima kennediano degli anni Sessanta in cui la Marvel era nata.
Al contrario, Giorni di un Futuro Passato fa emergere una diversa interpretazione del celebre motto Marvel: “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, o meglio vi aggiunge un’implicita postilla: “da grandi poteri e da grandi responsabilità non possono che derivare grandi problemi”.
Non si tratta, invero, di una tendenza rintracciabile solo nella serie degli Uomini X, ma trasversale a tutto il fumetto supereroistico degli anni Ottanta (in merito si rimanda al bel saggio di Daniele Barbieri “Uccidere gli Eroi” citato nella bibliografia dell’articolo). La tragicità, il dramma, il dolore, non sono più elementi accessori nelle vicende di questi supereroi problematici: sono il motore stesso del racconto, quasi che il leggendario gene X porti con sé anche una grossa dose di iattura.
Nelle vicende del professor Xavier, di Kitty Pride, Colosso, etc. è insomma destinata a trionfare drammaturgicamente la Legge di Murphy: se qualcosa deve andare storto, ci andrà.
Il Caso, il Destino, il Fato
Ma davvero le cose sono destinate ad andare così male? Gli X-Men possono cambiare questo futuro?
La saga, da questo punto di vista, si conclude con un finale tutto sommato aperto e variamente interpretabile, come peraltro tipico dello stile di Chris Claremont. Ma la sensazione che qualcosa di superiore guidi il destino dei personaggi, oltre la loro stessa volontà, resta nell’aria: una sorta di “Fato” – e anche qui, per quanto il rimando possa sembrare audace, esso ci riporta alla tragedia antica – alimenta al fondo la saga.
Si è soliti sottolineare come uno degli elementi più fascinosi nell’affresco dipinto da Claremont stia nella costante ridiscussione del confine tra “bene” (vs) “Male” con personaggi come Jean Grey, Magneto, Rogue – e perfino Ororo/Tempesta - che si trovano a fare la spola tra un estremo e l’altro. In realtà, se andiamo a ricostruire le storyline nel loro andamento complessivo, ci accorgiamo che per quanto i “giri di valzer” siano ampi, i personaggi – come tipicamente accade nelle soap opera – alla fine tornano al punto di partenza. Ma non si può nemmeno negare che di queste “odissee” emotive – ne è un esempio ancora Kitty Pride – i protagonisti finiscano per portare le cicatrici, fisiche e psicologiche.
C-Men (and women)
Claremont per quasi quattro lunghi lustri ha portato ogni mese in edicola le sue trenta pagine di X-Men a un pubblico giovanile sempre più vasto. A questa sterminata platea di esseri in trasformazione, con gli ormoni in subbuglio e perseguitati dall’acne, Claremont ha offerto le avventure di super esseri in trasformazione, con il DNA in subbuglio e perseguitati dal destino.
Pur muovendosi nell’alveo della narrativa popolare, l’autore non ha mai rinunciato a perseguire una vocazione morale come scrittore e, dopo tutto, in storie come Giorni di un Futuro Passato l’accento drammaturgico non è sulla “X” della testata, quanto sul “Men” dopo il trattino.
Abbiamo parlato di:
Giorni di un Futuro Passato
Chris Claremont, John Byrne, Terry Austin
traduzioni di Marco Marcello Lupoi, Nicola Martelli
Ultimate Edition, Marvel Italia, 1999
ASIN: B00BL7PHFE
Bibliografia dell’articolo
“Uccidere gli eroi: Riflessioni sul nuovo fumetto americano dei supereroi”
Daniele Barbieri
“La soap-opera mutante: gli incredibili X-Men”
Luca Scatasta in:
I mille volti del supereroe
Brolli, Daniele (a cura di), Star Comics, Perugia, 1991
“X-istential X-Men: Jews, Supermen, and the Literature of Struggle”
Jesse Kavadlo in:
X-Men and philosophy
Rebecca Housel, J. Jeremy Wisnewski (a cura di), Wiley, Hoboken, 2009
Bam! Sock! Lo scontro a fumetti. Dramma e spettacolo del conflitto nei comics d’avventura
Valentina Semprini, Tunué, Latina, 2006
Speciale X-Men: 50 anni mutanti - leggi gli altri articoli:
Etichette associate:
X-MenX-Men: Days of Future PastJohn ByrneIn EvidenzaMarvel ComicsChris Claremont