Unbroken
di Angelina Jolie
con Jake O'Connell, Miyavi, Domhall Gleason
Usa, 2014
genere, biografico
durata, 137'
Con l’avvicinarsi della notte degli Oscar, aumenta
pericolosamente il numero di
biopic
melensi e storie autocelebrative, tanto amate dal pubblico degli
Awards. Quest'annotocca ad "American Sniper", "The Theory of Everything", e "The imitation game",
tutti film che hanno per protagonisti bravi ragazzi bianchi (si chiuderà un occhio sul fatto che il
protagonista di quest’ultimo fosse omosessuale e sociopatico). Al novero dei
puri di cuore non poteva sottrarsi
Angelina Jolie che,dopo aver esordito alla regia con “In the Land of blood and
honey” -pellicola misteriosamente caduta nell'oblio- in cui narravadel conflitto nell'ex Jugoslavia,
riprova ad affrontare temi storici. Prodotto da due colossi come la
Legendary
Pictures e la Universal, questo secondo tentativo registico narradell’atleta olimpico ed eroe di guerra
Louis Zamperini. Adattato per lo schermo dai fratelli Coen, “Unbroken” e
riscritto da Richard LaGravenese e William Nicholson, il film vanta un cast tecnico
eccezionale, dalla fotografia di Roger Deakins (dodici volte nominato al premio
Oscar), al montaggio di Tim Squires, fino alle musiche di Alexandre Desplat
(vincitore di un Golden Globe e candidato ben otto volte all’Oscar). Nella
prima prima parte del film viene mostrato Louie (Jack O'Connell) bombardiere
nella seconda guerra mondiale e, alla stregua di un moderno romanzo di
formazione, assistiamo alle vicende della sua giovinezza, passata a bere,
fumare e fare a botte, fino a quando il fratello lo prese sotto la sua ala e lo
incoraggió a scendere in pista. Da qui alle olimpiadi di Berlino del 1936, dove
non conquistó la battaglia ma forní comunque un'ottima performance, il passo é
breve. I momenti più efficaci della pellicola sono concentrati nel secondo
atto, dove troviamo Louie e due compagni, incagliati su una zattera di
salvataggio a seguito un incidente aereo, nel bel mezzo dell'oceano. Dopo 47
giorni di agonia, i sopravvissuti vennero catturati dai giapponesi, e
trasferiti in vari campi di prigionia — di cui la regia non manca di descrivere
doviziosamente ogni genere di tortura a efferatezza—. Certo é, che se con
Unbroken l'intento della Jolie, era farci capire quanto Zamperini abbia sofferto e
ingiustamente patito, non possiamo certonegarle di aver centrato l’obiettivo.
Sulla carta soggetto e cast attoriale garantivano da soli
buona parte della riuscita del film. Peccato che la pellicola non sia
lontamente all'altezza delle sue possibilità. La Jolie infatti non offre un
prodotto che si distingue dai tanti film bellici che la seconda guerra mondiale
ha ispirato. La regia è piuttosto manichea, buoni e cattivi sono divisi in due
opposti schieramenti (tanto che già prima dell'uscita del film il Giappone ne
vietò la riproduzione), senza alcun approfondimento psicologico dei
protagonisti. Della vicenda stessa vengono accuratamente scelti alcuni
avvenimenti succulenti e spendibili per un pubblico medio che vuole schierarsi
col povero eroe di guerra. Non si fa il benché minimo accenno ad avvenimenti
scomodi per una produzione americana, come le migliaia di giapponesi che furono
internati in campi di prigionia da Roosvelt, o la famosa quanto discussa
stretta di mano fra Hitler e Zamperini.
Per non parlare poi di lati oscuri ma certamente più interessanti
della vita del protagonista, come il disturbo post traumatico da
stress di cui soffrí per molti
anni dopo il ritorno in patria, che lo fece sprofondare in un periodo di
alcolismo da cui uscì solo
grazie alla fede in Gesù. Tutti eventi, questi, che vengono tristemente relegati a qualche scritta alla fine
del film, e cui lo spettatore ormai, dopo più di due ore di lenta e agghiacciante descrizione di
torture, non può certo prestare la dovuta attenzione. Ma d'altro canto considerando il sottotitolo del
libro da cui il film è stato preso—Survival, Resilience and Redemption—, non ci si poteva che
aspettare una venerazione delprotagonista, le cui gesta sono praticamente assimilate a
quelle del Cristo: chiarissima in questosenso la rappresentazione di una delle tante torture subite
da Zamperini nell'ultimo campo di prigionia, quando dovette tenere un'asta di legno sulle
spalle, formando così la posizione del Cristoin croce. Zamperini merita tutto il rispetto e il
riconoscimento possibile, ma questo, ma questo nosignifica che si debbano trasformare le sue gesta eroiche in
un’agiografia.
Erica Belluzzi