Scava nella spazzatura dell'uomo, del tempo e dell’oggettualità, nel vissuto consumato, nella storia moderna che scorre all'interno di un singolo istante sempre più veloce e immediato attraverso sensazioni, in realtà differenti ma comuni, distanti e amalgamate, nello scorrere di una palla e di una vita disillusa, reificata, reinventata, collegata ad altre, collegate al sistema mondo.
Un uomo -Nick Shay- la cui storia marca a fondo l'essenza dell'autore e del quadro, un tratto denso, un coagulo di situazioni, rappresentazioni, decostruite per essere ricomposte attorno a tanti personaggi, tante storie, a volte brevi o infinite come tutta una vita.
Interessante il film dentro al libro: Unterwelt -di Ejzenštejn, regista russo e teorico del montaggio cinematografico d'avanguardia-costituisce una metafora del libro stesso, nel titolo (Underworld) e nella struttura della narrazione a ritroso racchiusa nel mondo sottosopra.
Mi è capitato di leggere alcune recensioni dove si sostiene la tesi che la narrazione perda mordente dopo pagina 500. Niente di più sbagliato, le ultime 300 pagine di Underworld sono tra le più belle e espressive del libro, in questo senso aiutano a comprenderne alcune parti, personaggi e dialoghi disseminati all'interno della prima metà. Questo grazie alla struttura del libro stesso che -complicando considerevolmente la vita del lettore- permette attraverso la decostruzione e la frammentazione del testo che sia proprio chi legge a tracciare il disegno -in modo più che mai personale, poiché alcuni personaggi restano più nitidi ed impressi di altri- delle varie storie e dell'intreccio interno all'affresco.
Non concordo nemmeno con chi sostiene che non c'è una storia e neppure una trama, non è una trama omogenea convenzionale ma una più sfumata, ristrutturata, fatta di tante storie e tanti personaggi legati in qualche modo, mai banale, l'uno all'altro. E' questa -secondo me- l'essenza della letteratura postmoderna, non può esser ridotta esclusivamente a metalinguaggio, complessità e ricercatezza stilistica; è la ricostruzione di un mondo, la rappresentazione di una società che trasuda dalle storie, l'addensamento di significati, citazioni e substrati nascosti nel testo; e proprio in questo DeLillo si rivela maestro e regista indiscusso, nel creare ed intrecciare vissuti, epoche e storie diverse che si amalgamano in un tutt'uno.
Su una cosa sono d’accordo: arrivati a pag. 500, con considerevole fatica e senza avere dei riferimenti precisi, la lettura può diventare indefinita e talvolta pesante, disarticolata e priva di confini cui ancorarsi o binari fluidi e stabili su cui scorrete. La narrazione può apparire totalmente slegata nelle sue singolarità, che non vada "a parare” da nessuna parte, una scrittura perfetta nella sua vaga imperfezione. Per questo molti abbandonano a questo punto, dove -a mio avviso- è necessaria tanta buona volontà, uno sforzo che in seguito sarà ben ripagato. La verità è situata nell'organizzazione del romanzo, nella sua scrittura realistico-descrittiva-evocativa, ma soprattutto nella ricostruzione che il lettore deve "per forza" mettere in atto per rapportare e confrontare epoche, personaggi, dialoghi e situazioni, perchè tutto è profondamente legato in un modo o nell'altro.
Le ultime 300 pagine, infatti, riconciliano il lettore con l'autore e lo aiutano a decodificare il testo, le storie e l'affresco generale, costruendo nuovi stimoli e nuove emozioni, tanto che appena finito l'epilogo -magistrale!- ti viene una gran voglia di rileggere qualche passo letto mesi fa, che ora -finalmente!- ha assunto pieno significato, una nuova sfumatura tratteggiata sulla tela.
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