La realtà in cui viviamo è virtuale. Anzi, è la realtà 2.0, per rimanere in tema. Un mondo fatto di pixel, codice binario, video, social, skype. La realtà scorre sullo schermo di un PC ed è inutile prenderci per il culo, il virtuale si sta sostituendo (si è sostituito) al reale. Perché ormai i film si guardano on-line, la musica si ascolta on-line, le notizie si leggono on-line. Perché ormai, se non c'è il PC, c'è il tablet o lo smartphone e la rete è sempre lì, pronta ad accoglierci. Ho visto gente mandarsi messaggi di whatsapp dalla stessa stanza, amici seduti allo stesso tavolo ma concentrati ognuno sul proprio telefono e io stesso sono caduto nella trappola dell'on-line a tutti i costi e troppe volte. Perché on-line ci sono le risposte e non esserci equivale a ritrovarsi con una marea di domande, fuori dal mondo. Ormai c'è chi si rifugia nella vita reale perché quella virtuale fa schifo.
Ecco, è su queste basi che un filmetto come Unfriended ha senso e può considerarsi riuscito. un'iperbolico viaggio nel cyberpresente, con tutti i suoi limiti. Perché quello girato da Levan Gabriadze è l'horror contemporaneo definitivo, perfetto specchio dei nostri tempi, che ci piaccia o no, pur non essendo il primo horror a proporre un'idea di cinema on-line, in chat, con riprese in webcam. All'inizio c'è stato The Collingswood Story, nel 2002, che arrivò sulla scia rivoluzionaria di The Blair Witch Project e propose un horror non con le camere a spalla ma con le webcam, ambientato in una chat simil Skype. Un'idea che poi non fu più sfruttata a dovere mentre tutto il mondo sembrava ipnotizzato dal mockumentary e il found footage, con l'esempio del simpatico The Den (2013) a fare da rottura dopo il pessimo e quasi contemporaneo Smiley, fino ad arrivare al nostro Unfriended che però, rispetto al passato, osa un po' di più non proponendo semplicemente un horror in webcam ma un horror che sfrutta tutti gli strumenti della rete e tutti gli aspetti che questa realtà 2.0 offre.
La trama è banale: un gruppo di amici chiacchiera su Skype ma nella loro videochat si inserisce un utente non meglio identificato. Nel frattempo la protagonista Blaire riceve su Facebook strani messaggi dall'amica Laura, morta suicida un anno prima dopo esser stata vittima di cyberbullismo. Come se non bastasse il misterioso utente comincia a minacciare di morte il gruppo.
Diciamolo subito: Unfriended è un horror sovrannaturale. Non si tratta di uno spoiler, si capisce e ci viene spiegato da subito. Proprio questo aspetto della "pellicola" crea un contrasto intenso con il tipo di film: il sovrannaturale si fonde con la tecnologia che, a conti fatti, non è altro che qualcosa di mistico e magico, perfino spirituale. L'astrazione dalla carne, che diventa un appendice mentre "l'immagine" digitale finisce per essere una proiezione astrale del corpo umano. Che differenza c'è tra un fantasma e un profilo social, tra una seduta spiritica e una chat, tra un'apparizione e una foto, un video o una videochiamata? Attraverso un portatile e una connessione internet si può essere ovunque senza muoversi, essere in più posti contemporaneamente, attraverso uno smartphone e la giusta app si possono muovere oggetti a distanza, cambiare nome, forma, identità, controllare altri oggetti elettronici. Per l'uomo di un tempo passato non saremmo che alla stregua di stregoni o demoni e per lo stesso motivo i pericoli della rete sono quelli reali creati da gente in grado di manipolare questo mondo: gli hacker.
E' con l'hacker che, inizialmente, viene identificato il pericolo. Eppure i ragazzi di Unfriended non sono senza difese, non sono totali sprovveduti e se molti di loro non conoscono bene regole e strumenti di questo loro quotidiano universo a causa del pressapochismo con cui lo vivono/viviamo quotidianamente, ad affiancarli c'è l'ormai immancabile figura del nerd, dello smanettone la cui figura, con gli anni, è stata rivalutata e sdoganata. Eppure, come dicevo, il contrasto tra tecnologia e sovrannaturale si fa evidente e diviene la ragion d'essere di questo film, in cui il tecnologico sembra piegarsi ad una forza ultraterrena che non ne rispetta le regole e che, quindi, non può essere contrastata: non si può bannare, non si può rintracciare, non le si può sfuggire semplicemente spegnendo il PC. Tra l'altro è proprio qui che sta il colpo di genio che giustifica ciò che, ad esempio nel mockumentary, è sempre stato ingiustificato. Perché il "continua a girare" di rec-iana memoria qui non ha ragion d'essere: la webcam che riprende è indispensabile a mantenere vivo un universo digitale che non può essere "spento". Lo dice anche il fantasma di Laura Barns: "se vi alzate e ve ne andate siete morti". Ed è così, perché chi spegne la cam, chi spegne il computer, chi esce della rete smette di esistere in questa realtà 2.0.
Lo dico per evitare fraintendimenti: per me Unfriended non è cinema. Non ci sono movimenti di camera, non ci sono stacchi, non c'è montaggio né scenografia o fotografia. Delle minicamere sono poggiate sulle spalle della protagonista e riprendono il suo desktop. Il nostro sguardo non coincide però con quello di Blaire ma con lo schermo del computer. Nonostante tutto quello che non è, però Unfriended è un film dinamico. Il dinamismo viene dato dal multitasking, dal sovrapporsi di finestre, dall'utilizzo in contemporanea di più programmi. Blaire è su facebook, ascolta musica su Spotify, chatta col proprio ragazzo, va su Google, scrive e legge e-mail, è in video-chat su Skype. Il dinamismo viene dato dal sovrapporsi di ogni azione (e quindi di ogni programma) ad un'altra quasi fossero i diversi piani di una scena. Inoltre Unfriended è un film basato sui dialoghi, sulle attese di un video che non parte ma, soprattutto, sulle frasi scritte. Unfriended ti costringe a leggere e ad attendere che una frase venga scritta e questo è un altro fattore dinamico che coinvolge lo spettatore. Guardare Unfriended non è molto diverso dal compiere azioni per noi quotidiane, E' il cinema che diventa realtà. Ma a questo punto, il cinema dov'è? E' nella figura del fantasma. Dello spirito vendicativo che supera il livello della realtà 2.0 -o regredisce a quello originario - e si fa carne. E' lo spirito di Laura che agisce al di là della realtà in cui agiscono Blaire e i suoi amici, in cui noi siamo relegati. Si tratta di un ribaltamento incredibile. Se l'importanza cinematografica di Unfriended è zero, quella metacinematografica ma anche sociologica lo rende il vero epigono di The Blair Witch Project. Il pronipote di Cannibal Holocaust. Qui viene lasciata da parte la pretesa del reale in nome della negazione della realtà stessa,
Ora, se qualcuno mi chiedesse consigli su questo film, io non sarei in grado di darli. Perché Unfriended non fa paura, richiede una sospensione dell'incredulità come non era mai stato fatto e non è cinema. E' a tratti ridicolo, a tratti insostenibile. Può annoiare e fare schifo. Può semplicemente intrattenere. Può essere visto come una fredda critica al cyberbullismo, quel tipo di bullismo che non ti chiede più di metterci la faccia, anonimo e per questo terribile, senza veri e propri colpevoli. Ed è incredibile come i ragazzi nel film siano vittima della loro personale legge del contrappasso. Ragazzi come tutti, stronzi e bastardi dalla faccia pulita che si pugnalano alle spalle, che si feriscono a vicenda, che non solo ti prendono in giro ma ti fanno prendere in giro da milioni di persone senza un volto, pronti a ridere di te solo per condannare chi lo ha fatto per primo un secondo dopo. Unfriended è il teen horror definitivo (nella sua forma finale ed escludendo il sequel già in preparazione) perché rappresenta una generazione senza ideali, senza sogni e senza speranze. Che la deride e ha persino la pretesa di condannarla senza avere gli strumenti per poterlo fare. Che sfrutta il cinema (i temi sono quelli classici, a partire dalla storia di fantasmi per arrivare a quella della maledizione) e i suoi topoi, quelli negativi (lo spiegone) e quelli positivi (l'orrore senza volto), con un google deus ex machina pronto a dare soluzioni inutili perché di dubbia provenienza. E, in effetti, cos'è internet se non un non luogo dove chiunque può essere chiunque e dire qualunque cosa, covo di bimbiminkia e di gente pronta a guardare la pagliuzza negli occhi degli altri senza badare alla trave nel proprio? Capita tutti i giorni, lo faccio anche io, dall'alto della mia superiorità dovuta a nulla. Perché siamo fatti così in questa realtà 2.0, inferno o paradiso a seconda dei casi.