UNGHERIA: Intervista a Ferenc Kumin, portavoce internazionale di Viktor Orbán

Creato il 18 febbraio 2013 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 18 febbraio 2013 in Slider, Ungheria with 0 Comments
di Claudia Leporatti

DA BUDAPESTIntervista al responsabile della comunicazione internazionale per il governo di Viktor Orbán, l’esperto di scienze politiche Ferenc Kumin. Nell’ampio botta e risposta il politico ha fatto rapporto su quanto il governo ungherese ha fatto e sta facendo in termini di tasse, relazioni internazionali, rapporti con l’Italia e operazioni militari, per poi passare alle prospettive future dell’esecutivo magiaro, alle aspettative per il 2013 e alla questione della vendita dei terreni agricoli agli stranieri. Tra le criticità più grandi riferite da Kumin la situazione occupazionale: il tasso di disoccupazione ungherese è tra i più alti dell’Unione europea e il milione di posti di lavoro promesso da Fidesz in campagna elettorale resta, dopo oltre due anni di governo, una promessa.

Quali sono i maggiori risultati economici raggiunti dal vostro governo in quasi tre anni di legislatura?
Concentrandoci sui due principali traguardi citerei le riduzioni del debito sovrano e del deficit, che adesso è stabilmente al di sotto della soglia del 3% del PIL. Siamo gli unici nell’Ue ad essere riusciti a ridurre il debito del 3% in un confronto su base annua e cioè rispetto al fine del 2011. Anche altri membri dell’Unione sono riusciti ad abbassarlo, è il caso di Danimarca, Svezia, Lettonia e Polonia, ma parliamo di riduzioni intorno all’1%. Questo è probabilmente il risultato più evidente del nostro governo, considerando tra l’altro che nello stesso periodo otto Paesi dell’Ue che hanno visto un aumento di oltre il 10% del loro debito, mi riferisco a: Regno Unito, Irlanda, Slovacchia, Slovenia, Cipro, Spagna, Portogallo e Grecia.
Passando in rassegna i macro-indicatori sono questi i dati che illustrano meglio i risultati di una politica orientata a rimettere in carreggiata un’economia sull’orlo della bancarotta come quella che abbiamo rilevato nel 2010. Un anno e mezzo è bastato per ribaltarla.

La stampa vi ha più volte accusato di fornire versioni “edulcorate” della realtà, cosa ribatte?
Rispondo con una considerazione: non stiamo solo dicendo di aver apportato dei miglioramenti, è il mercato a illustrarcelo con l’alta domanda di bond del tesoro che ci hanno dato modo di finanziarci. Importante in questo contesto anche la riduzione dei rendimenti, che ha reso molto meno oneroso il rimborso del nostro debito. Certo è sempre costoso rispetto ad altri, ma il premio è molto meno alto adesso, non come prima, sta diminuendo gradualmente. Anche alla luce di questo, mi pare che i miglioramenti siano innegabili.

Quale importanza riveste nelle vostre politiche il rapporto commerciale con l’Italia?
L’Italia si mantiene anno dopo anno tra i primi 5 partner commerciali del nostro Paese. La presenza italiana nel territorio è anche questa più che rilevante, con grandi aziende che scelgono di produrre in Ungheria sia per vicinanza geografica, sia per vantaggi fiscali e di costo del personale, ma anche per la preparazione della nostra forza lavoro in ambiti specializzati. Come tutte le altre grandi realtà che arrivano in Ungheria e intendono non solo prendere dal nostro Paese ma inserirsi e portare a loro qualità e soprattutto lavoro, l’Italia è la benvenuta nel nostro Paese.

Questo è l’anno della cultura italo ungherese, può parlarcene?
Ci sono decine di iniziative in vari ambiti, dalla musica all’arte e al design, che mettono in risalto tanto l’una quanto l’altra ricchezza culturale. Lo scopo complessivo dell’iniziativa è rafforzare il giù stretto legame culturale e la vicinanza delle nostre comunità cioè quello che penso siano le basi dei nostri rapporti bilaterali. La stagione in corso nel 2013 ci offre l’occasione di rendere ancora più stretto il legame e di presentarlo anche alle nuove generazioni.

Su quali altre relazioni internazionali state puntando?
Prima di tutto facciamo parte del sistema di relazioni della NATO e dell’Unione Europea. Stiamo saldando i nostri rapporti per esempio nell’area del Golfo e in Asia centrale. Stiamo inoltre curando i legami con la Cina, per la quale potremmo diventare un gateway verso il mercato europeo. Essere più aperti verso l’Est non vuol dire comunque essere meno attivi sul fronte NATO.

Qual è lo stato delle missioni militari cui partecipa l’Ungheria in Medio Oriente? Qual’è il parere dominante dell’opinione pubblica in questo rispetto?
Siamo in Afghanistan, dove siamo stati incaricati di proteggere l’aeroporto di Kabul. L’opposizione al nostro contingente è scarsa perché per fortuna non abbiamo vissuto disgrazie in quella terra, solo eventi non legati alla condizione del territorio, come incidenti d’auto. Il lavoro, inoltre, è stato soprattutto di ricostruzione e ha riguardato scuole, ospedali e istituzioni.

State concludendo diversi accordi di partenariato con altrettante aziende attive in Ungheria. Quali termini contengono queste collaborazioni? Le realtà coinvolte otterranno delle agevolazioni speciali?
Quelli che stiamo firmando con le grandi aziende insediate da tempo in Ungheria non sono accordi formali: ci sono benefici concreti e impegni presi da ambo le parti.

Cosa offre il governo secondo tali accordi?
Garantiamo un programma di training all’interno del nostro sistema universitario, oltre alle infrastrutture – strade, reti energetiche, scuole.

Parliamo delle banche, come hanno reagito alla tassazione aggiunta introdotta prima come misura temporanea e poi mantenuta?
Le banche straniere hanno vissuto un periodo molto buono qui in Ungheria, godendo di margini più alti rispetti a quelli degli loro Paesi d’origine. Negli ultimi anni, tuttavia, i loro prestiti e i mutui in valuta estera hanno dato grossi problemi alle famiglie ungheresi. Capire il ruolo delle banche nella crisi è complesso, ma il motivo principale per cui abbiamo attuato questa manovra è la posizione privilegiata che hanno occupato in passato. Durante questa sorta di “golden age” tutti o quasi volevano i mutui che hanno creato la bolla, perché avevano tassi più bassi. La soluzione migliore ci è sembrata quella di optare per una più equa e più logica suddivisione della spesa fiscale e in concreto di imporre una tassa speciale e, quest’anno, una variante della Tobin Tax sulle transazioni. Ovviamente gli investitori di questo settore non sono particolarmente felici.

Cosa rispondete alle critiche di Bruxelles alla tassa sulle telecomunicazioni per la quale l’UE ha avviato un’inchiesta?
Ci troviamo di fronte ad una costante: se una tariffa riguarda i servizi di telecomunicazione e genera entrate, secondo l’UE questi ricavi dovrebbero essere reinvestiti nel settore. Nel nostro caso, tuttavia, non si tratta di una tariffa ma di una tassa. Come tale appartiene allo stato, quindi ci difenderemo, come negli altri casi simili. Vedremo come andremo a finire.

Credo che contestino il fatto che alcune delle vostre misure fiscali sarebbero dovute essere ritirate dopo tre anni e invece sono rimaste…
Tutto quello che viene inserito in modo temporaneo può sparire o essere integrato. Oggi, all’inizio del 2013, possiamo dire che nel sistema fiscale ungherese non ci sono elementi provvisori, tutto è stabile, siamo fuori dal periodo transitorio. Questo anche per garantire quella prevedibilità il cui rafforzamento è importante per gli investitori. Non ci sono ragioni per aggiungere nuovi elementi: gli investitori possono calcolare le implicazioni fiscali di un’attività o di un investimento e il processo decisionale risulta più facile in questo modo.

Prevedete un nuovo pacchetto di misure fiscali nel 2013?
No, ci sono delle speculazioni riguardo alla sostenibilità del bilancio 2013 ma non c’è niente di ufficiale a riguardo, al contrario il governo intende fare il possibile per mantenere quanto già stabilito.

Politica monetaria, quando prevedete l’ingresso nell’Euro?
Questa è una grande domanda ancora aperta. Prima di tutto dobbiamo vedere come sarà l’Euro dopo questo periodo di turbolenze. Ora come ora è troppo difficile parlare di una data. Del resto anche chi è già nell’Eurozona oggi si trova a dover riconsiderare la sua posizione. Dopo le riforme che sono necessarie e su cui ci sono ancora idee differenti tra i membri, lo scenario sarà ancora diverso. Per questo pensiamo che questo sia il momento di guardare e aspettare.

Vi state comunque impegnando per incontrare i requisiti di Maastricht?
Certamente, come parte del trattato di accesso all’Ue dobbiamo entrare nella zona Euro, anche se non c’è una data di scadenza prefissata per questo passo. Dobbiamo andare nella direzione che ci consente di rispettare i criteri di Maastricht e posso dire che stiamo procedendo bene.

Cosa vi aspettate dal 2013?
Di uscire dalla procedura per deficit eccessivo dell’Unione europea. Riteniamo che avere per il secondo anno di fila un deficit al di sotto del 3% sia un segnale importante e speriamo davvero che questo sia riconosciuto dall’Unione europea e che ci escluda dalla PDE. Per noi sarebbe un importante primo passo per avvicinarci alla politica monetaria comune europea. Vogliamo inoltre continuare a ridurre il debito, siamo al 77% e dovrebbe essere al 60% quindi siamo ancora lontani dall’incontrare questo requisito, ma quello che conta è che la tendenza sia in ribasso. Riguardo all’inflazione una componente positiva data dal calo nei prezzi dell’energia elettrica, del gas e dell’acqua è controbilanciata dall’aumento dei prezzi degli alimentari, quindi come risultato abbiamo un quadro su cui non sarei particolarmente ottimistico, ma non vedo nemmeno criticità tali da essere pessimista.

Quali punti del vostro programma restano da sviluppare ulteriormente?
La cosa più importante è la crescita: lo scorso anno non abbiamo potuto raggiungere dati positivi, anche a causa dell’agricoltura che ha sofferto le cattive condizioni atmosferiche. Per quest’anno anche la CE concorda sul fatto che ci sarà un certo livello di crescita. Il nostro obiettivo è di raggiungere un livello di crescita stabile al fine di portare a un miglioramento dello standard di vita e più lavoro. L’ultimo rapporto del KSH mostra che oggi ci sono rispetto a un anno fa 50mila persone attive in più in Ungheria, ma siamo comunque ben lontani dall’essere in una buona condizione occupazionale. Ogni decisione deve essere fatta tenendo presenti questi obiettivi.

Terreni agricoli: la nuova legge, che il Parlamento sta ancora valutando, stabilisce che anche gli stranieri possono comprare appezzamenti in Ungheria, ma solo a certe condizioni, molto limitanti e proibitive per chi non vive nel Paese. Ci saranno problemi con la Commissione europea?
Provi a comprare un terreno in Danimarca: dovrebbe mostrare il diploma della scuola danese di agricoltura. Ad ogni modo nessuno vuole andare con la testa contro un muro. Stiamo provando a portare in parlamento e alla CE un pezzo di legge che sia in armonia con le leggi dell’UE. Vogliamo proteggere i produttori locali, persone che vivono in Ungheria e non hanno altre opzioni per sopravvivere se non l’agricoltura. Questa questione non è affrontabile pensando solo al mercato, occorre tenere conto a chi sono gli abitanti dei piccoli paesi in Ungheria. Questo tipo di supporto appartiene anche alle politiche dell’Unione europea, per questo confidiamo che l’UE capirà. Quello che stiamo introducendo secondo noi è in linea con le norme dell’UE, ma capisco che possono emergere delle questioni. Proviamo ad obbedire alle regole dell’UE ma non possiamo non considerare il peso dell’agricoltura per la nostra popolazione. Il bello della politica è proprio cercare di conciliare queste aspettative diverse e i differenti bisogni.

Pubblicato su Economia.hu

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