amm/ne del colosso italiano, forte del suo 4,2% di partecipazione Unicredit (guarda caso come l'azionista americano) ha dichiarato di voler sostenere il prossimo aumento di capitale solo per una quota del 3,51%.
***L’impegno dell’ente guidato da Paolo Biasi si attesta così a 260 milioni di euro, contro i 315 milioni che sarebbero stati necessari per sottoscrivere l’aumento da 7,5 miliardi per l’intera quota detenuta in Piazza Cordusio.
LA QUOTA SARÀ FINANZIATA CON MEZZI PROPRI, senza vendita di diritti e senza ricorso all’indebitamento, si legge in una nota, secondo la quale tale decisione, conferma l’impegno della Fondazione a sostenere, tramite Unicredit, le economie dei territori dove essa opera, così duramente colpite dalla crisi finanziaria ed economica in atto da tempo.***fonte
Già agli inizi di dicembre 2011 sui quotidiani si leggevano news del tipo: ***Agli osservatori più attenti non sfugge che, arrivati a questo punto, la partita che si gioca ha un sapore antico: è quella della “italianità” delle banche. Infatti, se i requisiti di capitale e patrimonio non dovessero essere diversamente rispettabili, non è difficile pensare che per i nostri istituti di credito sarebbe inevitabile finire tra braccia straniere. Unicredit è già bilingue da quando ha incorporato Hvb: e proprio in Germania potrebbero stare i suoi conquistatori. Alla chiusura di Borsa di oggi - dopo un tonfo del 7,2% - vale meno di 16 miliardi. Gli 8 miliardi che l’Eba chiede di mettere nelle casse di Unicredit vale dunque oltre il 30% del capitale totale futuro. Valutando che azionisti importanti parlano tedesco - come Allianz -, non è difficile immaginare che proprio da Berlino e da Monaco possa arrivare la “salvezza” che comporterebbe, naturalmente, la perdità del controllo oggi frazionato nella selva di Fondazioni che da Verona a Torino decidono i destini di Unicredit.***fonte