Pasquale Fameli . La ricerca del tedesco Carsten Nicolai (Karl-Marx-Stadt, 1965), incentrata sul rapporto tra arte, scienza e tecnologia, si caratterizza per una riduzione formale ai minimi termini, fredda e metodica, condotta attraverso i mezzi più disparati, dall’installazione al video, dalla stampa offset al suono. Per le proprie installazioni, Nicolai recupera le soluzioni “concrete” del Minimalismo[1] americano, alleggerendole però nei materiali, ora levigati e sottili anziché grezzi e pesanti, e dotandole della componente sonora: i suoi solidi geometrici mantengono la stessa ieratica staticità delle opere di un Donald Judd o un Tony Smith, ma la diffusione di sonorità sintetiche, microcellulari, anch’esse spesso ridotte al loro livello base, a onde sinusoidali o quadre, creano intorno a essi un movimento, un campo energetico che li avvolge e li galvanizza: emblematiche in tal senso sono opere del 2004 quali Anti e Syn Chron, enormi poliedri irregolari in leggerissimo alluminio, oppure Reflex, Einkristall e Perfect Square, in cui cubi, sfere e strutture modulari in vetro danno consistenza fisica a trasparenze e riflessi, mentre in opere quali Inver (2005) e Fades (2006) l’artista tedesco arriva a modellare direttamente la luce stessa, dimostrandosi così un degno erede di James Turrell e Dan Flavin, noti rispettivamente per gli ambienti luminosi e le strutture al neon.
Mantenendo un rapporto di coerenza con la sua produzione oggettuale, anche gli spettacoli audiovisivi di Nicolai (gran parte dei quali realizzati sotto lo pseudonimo di Alva Noto) esplorano le possibilità di interazione tra forme visive e sonore minimali, azzerate, passando stavolta attraverso un aggiornatissimo approccio processuale, ossia una manipolazione in tempo reale delle stesse, tramite sofisticatissimi software interattivi: un cadenzato sequenziarsi di ritmi formali piatti e di rigorosa modularità si combina così a un susseguirsi di micro-suoni elettronici matematicamente organizzati, dialogando in una necessaria e suggestiva configurazione sinestetica dalle variazioni lente e graduali.
Qualcosa di analogo accade anche nell’imponente installazione audiovisiva Unidisplay (2012), presentata nello spazio dell’Hangar Bicocca a Milano, a cura di Chiara Bertola e Andrea Lissoni, e visitabile fino al 2 dicembre, in cui gli elementi caratteristici della ricerca di Nicolai si presentano sintetizzati in un’unica dimensione ambientale e processuale: l’elementarità delle frequenze sonore si accorda con la schematicità della sintesi geometrica, in una reciprocità di corrispondenze ritmiche e formali dal carattere severo e disturbante. Moduli e pattern composti da linee, punti, cerchi e quadrati in un sobrio bianconero, si accumulano serratamente, tra rapidi sfarfallii (flickers) e repentine variazioni di segnale (jitters), scandendo la continuità di una presenza rumoristica insistente e ineludibile che si pone al di là di una durata definita, acquisendo così valenza spaziale. L’imponente proiezione, che si estende per quasi cinquanta metri, è delimitata agli angoli da due specchi che la ripetono all’infinito, in una sorta di labirintico e destabilizzante effetto droste. La manipolazione in tempo reale è stata qui sostituita da processi di automazione che lasciano un significativo margine di indeterminatezza al divenire delle forme e la persistenza pressoché ciclica del suono conduce il fruitore verso un ipnotico viaggio percettivo.
[1] Per approfondimenti su questo importante movimento artistico cfr. almeno F. POLI, Minimalismo, Arte Povera, Arte Concettuale, Laterza, Bari, 2009.