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Unione Eurasiatica e stabilità geostrategica della Russia

Creato il 27 gennaio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Unione Eurasiatica e stabilità geostrategica della Russia

Aveva assolutamente ragione uno dei maggiori strateghi di politica estera statunitensi e incrollabile russofobo Zbigniew Brzezinski quando ha scritto ne La Grande Scacchiera: La supremazia americana ed i suoi imperativi geostrategici che “la Russia senza l’Ucraina cessa di essere un impero eurasiatico. La Russia senza l’Ucraina può ancora lottare per lo status imperiale, ma diventerebbe poi uno stato prevalentemente asiatico”, per giunta sotto la pressione permanente delle repubbliche dell’Asia centrale e della Cina. Egli ha anche sottolineato molto opportunamente che “Tuttavia, se Mosca riprendesse il controllo sull’Ucraina, con i suoi 52 milioni d’abitanti, le grandi risorse e l’accesso al Mar Nero, la Russia riacquisterebbe automaticamente i mezzi per diventare uno Stato imperiale potente in Europa come in Asia”.

In altre parole, la Russia senza Ucraina non può realisticamente sperare di raggiungere la stabilità geostrategica. Di conseguenza, il compito di ostacolare le sinergie tra i due Paesi occupa un posto di rilievo nella politica estera degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Non poteva che essere attaccato in Occidente l’articolo del primo ministro russo Vladimir Putin, pubblicato in “Izvestia” nel 2011 col titolo “Un nuovo progetto d’integrazione per l’Eurasia: il futuro in formazione” – dove propone la costruzione di una unione eurasiatica nello spazio post-sovietico, ossia un’alleanza tra Russia, Ucraina, Bielorussia, in cui sarebbero benvenuti anche il Kazakistan e altre repubbliche della ex URSS.

E’ chiaro che l’Occidente non lesinerà gli sforzi per evitare che il progetto si concretizzi, e quest’approccio si riflette nella tattica adottata da Bruxelles in relazione alla questione della zona di libero scambio e dell’adesione all’unione da parte dell’Ucraina. Le critiche per l’arresto dell’ex prima ministra ucraina J. Tymoshenko, e gli attacchi contro l’attuale leader ucraino V. Janukovich, a volte sfiorano minacce dirette; ma, per ragioni molto più profonde, i capitani dell’UE sono pronti a firmare un accordo di associazione con il paese, e anche ammettere (in un lontano futuro) l’Ucraina nell’Unione europea solo per fermare i processi di unificazione all’interno della comunità delle nazioni slavo-orientali (e, potenzialmente, ex sovietiche in genere).

Non è un segreto che l’Ucraina sia fondamentale per la realizzazione di molti piani geostrategici occidentali. Le è stato offerto di prepararsi all’ingresso nella NATO, e il fatto che la costituzione ucraina vieti d’aderire in blocchi militari, ne l’esistenza della base navale russa nella città ucraina di Sebastopoli, sembra impossibilitare quest’opzione. Infatti, la NATO già sta coltivando una relazione simile con la Georgia, a dispetto d’analoghi ostacolo giuridici.

A mio parere, l’integrazione dell’Ucraina nella NATO diventerebbe un casus belli per l’Europa. A quel punto il mondo si troverebbe a soli due passi da un conflitto potenzialmente mondiale: il primo passo l’installazione di basi NATO in Ucraina, il secondo l’entrata in gioco di fattori legati al conseguente inedito accorciamento del tempo necessario ai missili statunitensi per raggiungere obiettivi strategici in Russia. Promesse, assicurazioni o garanzie giuridiche di qualsiasi tipo non contribuirebbero a dissipare le preoccupazioni di Mosca, considerando che le guerre iniziano sempre con la violazione del principio che pacta sunt servanda. Tra parentesi, grande attenzione attirò una conferenza sul tema che tenni negli anni ’90 presso la sede della NATO a Bruxelles. Con le sue capacità di difesa seriamente compromesse, ed impossibilitata ad affidarsi alla strategia dell’attacco di rappresaglia, la Russia dovrebbe o tenere i missili costantemente in stato d’allerta o, vista la brevità dell’allarme su cui si potrebbe contare, addirittura passare ad una strategia incentrata sull’attacco preventivo. L’attacco non dovrebbe essere necessariamente nucleare, ma l’intera situazione volgerebbe automaticamente al prologo di un conflitto armato. Questo è il motivo numero uno per cui l’adesione alla NATO dell’Ucraina porterebbe rischi estremi di una probabile catastrofe globale.

L’UE tende a concentrarsi sulle questioni economiche, sociali e culturali, ed in questi campi la posizione ucraine è oscillante: Kiev tenta di strappare vantaggi contemporaneamente in Occidente e in Oriente. Il 18 ottobre 2011 l’Ucraina ha firmato a San Pietroburgo un trattato di libero scambio che include altre otto repubbliche post-sovietiche, con altre tre da cui s’attende una risposta definitiva: Azerbaigian, Turkmenistan e Uzbekistan. Il trattato è entrato in vigore con gravi limitazioni e non si applica alle materie prime come petrolio, gas naturale, metalli, e zucchero; ma un piano per ampliare il campo di applicazione del’accordo è già sul tavolo.

In generale, l’integrazione economica nello spazio post-sovietico si muove con grande difficoltà. La più semplice parte iniziale del processo – l’istituzione di una zona di libero scambio – esemplifica al meglio la situazione. In sintesi: la zona è stata creata nel 1994, ma l’accordo non fu ratificato, ed il nuovo accordo è stato firmato solo nel 2011. Ma va tenuto a mente che un accordo di libero scambio si limita ai dazi doganali. L’unione doganale formata da Russia, Bielorussia e Kazakistan (e che il Kirghizistan al momento alla finestra) era una naturale seconda fase del processo, in quanto implicava politiche tariffarie comuni nei confronti di paesi terzi, oltre all’abolizione delle frontiere interne. Uno spazio economico comune, con la sincronizzazione delle strategie economiche e politiche dei membri e, se possibile, una valuta comune, dovrebbe essere una forma più avanzata di questa integrazione.

L’unione doganale e lo spazio economico comune dovrebbero, idealmente, essere supervisionati da istituzioni sovranazionali. Una volta che questi istituzioni siano in atto, il processo di integrazione può essere aggiornato per includere la creazione di una unione eurasiatica, descritta da Putin nell’articolo dell’ottobre 2011. Altri leader hanno contribuito al dibattito: il presidente bielorusso A. Lukashenko in un articolo intitolato “Il destino della nostra integrazione” e il presidente kazako N. Nazarbayev in “L’Unione euroasiatica: dal concetto alla storia del futuro”. Lukashenko ha sottolineato la posizione commune condivisa da tutti i paesi post sovetici: uguali diritti, il rispetto della sovranità nazionale, e l’inviolabilità delle frontiere sono gli unici principi plausibili su cui fondare l’integrazione.

L’ovvia domanda è quale ruolo sia ricoperto dall’Ucraina in questa dinamica integrativa. Il paese era nella lista di ipotetici partecipanti quando Putin ha espresso l’idea di creare uno Spazio economico comune nel 2003, ma Kiev ha scelto di tenersi alla larga del progetto. Il 18 ottobre 2011, l’Ucraina ha firmato l’accordo sulla zona di libero scambio in cui entreranno probabilmente tutte le 11 repubbliche post-sovietiche, tranne la Georgia. Mosca farebbe bene a coltivare i suoi buoni rapporti con Kiev all’interno di una serie di alleanze, che implica una sempre più stretta integrazione economica. Senza dubbio, gli interessi economici delle parti coinvolte sono la base adeguata per il processo. L’Ucraina è osservatrice nella Comunità Economica Eurasiatica, ed ora ha firmato l’accordo di libero scambio: sul lungo termine un ragionevole gradualismo promette grossi risultati. Accordi di libero scambio o di associazione con l’UE da parte dell’Ucraina, se venissero firmati nonostante la crisi sistemica persistente in Europa, non dovrebbero portare la Russia a rinunciare ad attirare il paese verso l’orbita dell’integrazione post-sovietica. Anzi, questo dovrebbe diventare uno delle priorità nella politica estera della Russia. I progressi fondamentali in questa direzione sarebbero immensamente superiori ai piccoli guadagni derivanti da sconti sulle materie prime.

Vi è tuttavia un fattore più significativo che deve essere incorporato nel calcolo geostrategico di Mosca – e cioè le relazioni tra la Russia e la Cina. Senza dubbio, per la Russia la Cina è già un partner importante in una serie di strutture esistenti (in particolare OCS e BRICS) ma la mia impressione è che nella visionedi Mosca rimane sopravvalutato il ruolo d’Europa (sopratutto dopo la svolta verso l’Asia prescritto nella nuova dottrina militare di Washington). Anche Putin dice che l’Unione Eurasiatica dovrebbe essere “una parte essenziale della Grande Europa”, ma è anche vero che il rischio di un eccesso di dipendenza dall’Europa a scapito dell’Asia non può essere scontato.

Sarebbe un grosso errore sottovalutare l’importanza della Cina per la sicurezza geostrategica della Russia. A questo proposito, vorrei rivedere la proposta russa di un trattato di sicurezza europea, ribadendo il mio suggerimento di rafforzarlo e trasformarlo in un trattato di sicurezza eurasiatica, con l’ascesa della Cina debitamente presa in considerazione. Il compito di lungo termine di chiarire la dimensione militare del trattato andrebbe ad integrare le interazioni in corso all’interno di OCS e BRICS, soprattutto perché il primo è un sistema di natura economica e il secondo è un organismo abbastanza informale.

Lo sviluppo e l’approfondimento del partenariato strategico con la Cina, insieme con i rapporti d’alleanza con l’Ucraina (con l’attenzione necessaria alla Bielorussia ed altri alleati) aiuterebbero la Russia a mantenere la sua stabilità geostrategica ad livello sufficiente a renderla completamente immune alle invettive sfornate dai vari McCain.

(Traduzione di Viktoria Šeynina)


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