di Vittorio Filippi
Dei convincenti ragionamenti su questi temi sono contenuti in due libri di recente apparizione: il primo è “L’Europa del disincanto. Dal ’68 praghese alla crisi del neoliberismo”, a cura di Francesco Leoncini ed edito da Rubettino (€ 15). Il secondo è “Dopo la pioggia. Gli Stati della ex Jugoslavia e l’Albania (1991-2011)”, curato da Antonio D’Alessandri e Armando Pitassio e stampato da Argo (€ 30). Nel primo si mette a fuoco quella diffusa delusione che il neoliberismo sta producendo in tutta Europa (una “seconda sconfitta della Primavera di Praga”) dopo le grandi (forse troppo grandi…) speranze del ’68 e dell’89. Delusione che crea oggi conati populisti di variegata entità (si veda il caso dell’Ungheria) e rivisitazioni all’insegna del rimpianto (ecco il fenomeno dell’Ostalgie nel saggio del filosofo Giuseppe Goisis), ma anche i sussulti rabbiosi ed “indignati” di quel Zivilcourage che nutrì la protesta contro il “socialismo reale” in un tempo ormai lontano quanto ingenuo (ne è esempio la protesta dei giovani in Russia contro la fotocopia putiniana). Nel secondo volume, che nel titolo richiama il famoso film del macedone Milčo Mančevski “Prima della pioggia” (1994), cioè – fuor di metafora – i Balcani dopo lo tsunami catastrofico di vent’anni fa. Si sa che, “dopo la pioggia”, non è arrivato il bel tempo stabile, ma una transizione incerta ed infinita che tuttora accantona (senza risolvere) tanti problemi che si chiamano Bosnia, Kosovo, Macedonia, ma anche crisi economica, povertà, diritti civili, migrazioni, senso del futuro.
In particolare nell’intervento di Stefano Bianchini si sottolineano alcuni inquietanti parallelismi tra la disgregazione della Jugoslavia federale e quella di una UE che federale non riesce a divenire, ma si focalizza anche il ruolo di una crisi economico-finanziaria che minaccia al tempo stesso l’euro e tutta l’impalcatura dell’Unione, stimolando impulsi centrifughi sempre più nutriti. Impulsi generati anche da “nuove paure” che fanno ritenere l’interculturalità, la diversità, il meticciato, dei pericoli per l’identità e la sicurezza dei popoli. Insomma, scrive Bianchini, “l’omogeneità nazionale è progressivamente incrinata dai diritti umani, dai meticciati culturali, dal diversificarsi dei nuclei familiari, dal moltiplicarsi dei convincimenti religiosi e dei comportamenti laici, dalle scelte individuali”. Da qui il ritorno al guardare con speranza all’ancoraggio forte ai rassicuranti Stati-nazione, in difesa da una globalizzazione sentita ormai come una minaccia alla Heimat (la domovina balcanica). Esattamente il sentiment opposto di quello di vent’anni fa.