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UNIONE EUROPEA: Frontex, la guerra quotidiana ai confini d’Europa

Creato il 30 settembre 2011 da Eastjournal @EaSTJournal

di Silvia Padrini

UNIONE EUROPEA: Frontex, la guerra quotidiana ai confini d’EuropaFrontex, questo sconosciuto.  La maggior parte dei cittadini italiani ed europei ne sa poco, se non nulla. L’operato del Frontex, invece, andrebbe tenuto sotto riflettori ben accesi. L’agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione tra stati membri in materia di sicurezza ai confini, oltre a mobilitare ingenti risorse e mezzi, ha infatti acquisito nel corso degli ultimi anni una straordinaria importanza ed un’autonomia alquanto insolita per un’istituzione dell’UE.

Nonostante lo slogan ufficiale annunci “Libertas – Securitas – Iustitia”, il Frontex è stato più volte chiamato in causa dai media –soprattutto quelli indipendenti- per le palesi violazioni dei diritti umani perpetrate dalla polizia di frontiera ai danni dei migranti intercettati e per le irregolarità nella verifica di sussistenza delle condizioni per la richiesta di asilo politico.

È del 21 settembre scorso l’ultima brutta notizia dai confini: Human Rights Watch denuncia numerosi abusi nelle operazioni effettuate -e tuttora in corso- in Grecia. La denuncia – scaturita da un sopralluogo sul posto da parte di operatori della ong – parla di trattamenti inumani e degradanti inflitti alle moltissime persone fuggite dai propri paesi d’origine e ora recluse all’interno dei centri di detenzione sparsi sul territorio greco. Un trattamento degradante tipico consiste nell’essere costretti a vivere in uno spazio troppo stretto o troppo affollato: nel dicembre 2010 la stazione di polizia di Feres tratteneva 97 detenuti, donne e uomini, avendo la capacità di ospitarne al massimo 30.

Quella greca è certamente la situazione più critica: lo stato ellenico rappresenta oggi la porta principale (sebbene sbarrata) per chi spera di entrare nella reggia fortificata chiamata Europa. La pressione migratoria tra la Turchia e la Grecia è al limite del sostenibile. Inoltre, la politica di brutale respingimento messa in atto è deleteria, perché è paragonabile alla costruzione una diga senza prevedere l’adeguato deflusso: la pressione dell’acqua, presto o tardi, sfonderà le barriere e farà danni incontrollabili.

L’operazione RABIT lanciata nel 2010, ovvero il pronto intervento in caso di emergenza con l’invio di squadre di polizia di frontiera dai paesi membri, è evoluta nel giro di pochi mesi in un presidio permanente nel mar Egeo, definito missione Poseidon. Il Frontex  costa non poco all’Unione Europea: il budget previsto per l’anno 2011 è di circa 88 milioni di euro e ogni anno la cifra si gonfia di una manciata di milioni. L’agenzia di sicurezza di frontiera giustifica questo generoso portafoglio dichiarando che, ad esempio, alla fine di novembre 2010 gli immigrati regolari che varcavano il confine Turchia-Grecia sono diminuiti del 44%. Inevitabile domandarsi: Dove sono finiti? Che trattamento hanno subito?

Il Frontex mobilita risorse materiali degne di un’operazione bellica. Anche le strategie d’azione  fanno apparire lontana e sfocata quell’idea di pace, cooperazione e solidarietà sulla quale abbiamo costruito la nostra idea di Unione Europea.

 L’intento dell’agenzia è quello di allungare i propri tentacoli al di fuori dell’Europa per costruire un fossato sempre più largo intorno alla fortezza. Nel febbraio 2011, Frontex ha concluso accordi di cooperazione con molti paesi terzi tra cui Federazione Russa, Moldavia, Serbia, Georgia e Ucraina. Altri otto paesi non hanno ancora risposto all’appello e, tra questi, l’anello mancante cruciale è la disponibilità di Ankara. Come si legge nelle note ufficiali dell’agenzia  europea “la cooperazione turca sarebbe molto benvenuta”. La strategia è sperimentata: il braccio armato della pacifica Unione Europea in passato si è già spinto fino alle Canarie e all’Africa Occidentale, adottando senza scrupoli la filosofia del “prevenire è meglio che curare”.

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