Unità, biologico, filiera corta: ecco la ricetta anti-crisi

Creato il 20 aprile 2012 da Informasalus @informasalus
CATEGORIE: Alimentazione

La conversione biologica, prima di tutto

Finora, le aziende che hanno scelto questa strada hanno avuto remunerazioni maggiori e i consumatori hanno maggiori tutele. Un sistema che riduce anche le infiltrazioni criminali.
Nel mondo degli agrumi tricolori sempre più in affanno e sempre meno in grado di reggere la competizione internazionale, tre strade premiano chi, con un pizzico di lungimiranza, le ha intraprese: il biologico, l’unione tra produttori e la filiera corta. Tre strade che portano nella stessa direzione: aumento di valore del prodotto, riduzione dei costi, più margini di guadagno, canali distributivi scevri dai diktat della grande distribuzione, maggiore certezza nei pagamenti.

Convertirsi, per differenziare

La conversione biologica, prima di tutto: già oggi, numeri alla mano, rappresenta circa il 14% delle colture agrumicole totali. Oltre 23 mila ettari di arance, mandarini e limoni, concentrati per l’85% in Sicilia e Calabria, che rendono ai produttori ben più rispetto alle coltivazioni convenzionali.
La conferma arriva dal responsabile economico di Coldiretti, Lorenzo Bazzana: «Dal punto di vista economico, il biologico accresce il valore del prodotto di circa il 50%». «La conversione – commenta Mario Schiano, analista di Ismea – è una valida strategia di differenziazione del prodotto e permette di catturare nuove fette di mercato, soprattutto all’estero. Va poi considerato che, nel caso delle arance, coltivare secondo i criteri biologici è più semplice di altri frutti come mele, pere e pesche».
Il problema è quello di garantire una tracciabilità del prodotto, per evitare gli scandali del “falso biologico” che finiscono per danneggiare l’intero comparto. «Sono anni che chiediamo maggiori controlli. Alla frontiera e nei porti arrivano, da Spagna e Marocco, tonnellate di arance che vengono spacciate per biologico italiano», denuncia il presidente di Coldiretti Sicilia, Alessandro Chiarelli. Un business redditizio, su cui spesso si allunga la longa manus delle mafie. Proprio la mancanza di controlli ha costretto i produttori a iniziative fai-da-te. «Ci tocca andare a pedinare i tir provenienti dal continente – spiega Chiarelli – per verificare i contenuti ed evitare una concorrenza scorretta. Non capisco perché le forze dell’ordine non ci mettano lo stesso impegno profuso nell’alta moda».
Vendita diretta, fiducia reciproca
Un aiuto a ridurre il problema arriva dall’altro tassello della ricetta anti-crisi: la filiera corta e la vendita diretta. Più si riducono i passaggi, più sono difficili le truffe, più aumenta il senso di reciproca fiducia che lega consumatore e produttore. E la remunerazione dei produttori aumenta esponenzialmente.
La scelta ha assicurato, se non la ricchezza, quantomeno la tranquillità del consorzio Le Galline Felici. 15 aziende, 700 mila euro di fatturato, produzioni biologiche e una scelta precisa: vendere solo ai Gruppi d’acquisto solidale. «Il 99,8% dei nostri scambi lo facciamo con loro», spiega il fondatore Roberto Li Calzi. «Saltiamo gli intermediari, abbiamo la certezza di essere pagati. La quota di insoluti è vicina a zero e abbiamo costruito una rete di fiducia e relazioni tale che, se ci sono casi di emergenza, possiamo chiedere di ricevere i soldi in anticipo».
A beneficiare di questo rapporto, mesi fa, la cooperativa Arcolaio che opera nel carcere di Siracusa e produce, con i detenuti, prodotti a base di mandorle. Una crisi di liquidità le impediva di acquistare la materia prima. «Ho mandato una mail ai nostri amici gasisti. Tra il mio appello e il primo bonifico, di tremila euro, sono passati 15 minuti». Qualcuno, nelle mail successive, ha commentato così: “Economia solidale 1 – Pago e pretendo 0”.


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