Come affrontare una ferita ancora aperta sulla pelle degli americani, e non solo sulla loro, come quella dell’11 settembre? Paul Greengrass ha scelto la via del realismo, evitando di coprire il sangue con il cerotto della fiction. Ottima al proposito si è rivelata quindi la scelta di volti poco conosciuti e attori non professionisti (alcuni sono veri impiegati della United Airlines), mentre lo stile viaggia a metà strada tra un documentario e un action movie catastrofico. La prima parte segue una giornata come tante, fino all’arrivo delle notizie confuse dei dirottamenti dei vari aerei; quindi nella seconda il ritmo sale e l’attenzione si concentra sugli eventi all’interno dello United 93, l’unico aereo tra quelli dirottati che in quella tragica data non è andato a colpire il bersaglio prefissato, grazie all’intervento eroico (disperatamente eroico) dei passeggeri del volo.Essenziali i dialoghi, basati sulle dichiarazioni dei famigliari delle vittime, così come il tocco registico che rimane freddo, ricordando a tratti lo splendidamente glaciale Elephant sulla strage di Columbine (peccato che Greengrass non sia certo Gus Van Sant).
Il film è un pugno allo stomaco più che altro per il senso di ineluttabilità della tragedia. Ci immaginiamo un finale diverso. Per una volta sogniamo un cazzo di happy ending hollywoodiano. Ma sappiamo già che non succederà.(voto 7)