United States of Love - Recensione

Creato il 20 febbraio 2016 da Lightman

Berlinale 66

United States of Love: la Polonia agli inizi anni '90 nel ritratto desaturato e desolante del trentacinquenne regista Tomasz Wasilewski. In concorso al Festival Internazionale di Berlino 66.

La Polonia agli inizi degli anni '90 affronta come tutti i paese comunisti all'indomani della caduta del muro di Berlino la sua personale trasformazione, riconciliazione a un presente assai diverso dove il cambiamento è portato non solo dall'arrivo dei Jeans e della Fanta ma anche da una rivoluzione e da uno sfasamento tutti interiori. Quattro donne le cui vite si incrociano o sfiorano e che si ritroveranno insieme al tavolo apparecchiato dall'influenza americana (United States of Love) e intrappolate in storie, relazioni, condizioni esistenziali che non sembrano ancora essere il simbolo di una nuova vita spensierata. Agata ha una famiglia ma brama un'altra vita, Iza è direttrice scolastica rispettata, ma vittima di una relazione che non la gratifica. Poi c'è Marzena che insegna danza, ma vorrebbe sfondare come modella. E infine Renata, la più 'matura' delle quattro donne, oppressa da una solitudine che non sopporta più. Il sogno è ancora distante, mentre la solitudine dilagante. Ci si tiene in vita tramite messaggi in videocassetta, illusioni d'amore strappate alla realtà e un concetto di relazione che stenta a decollare. Se non quello famigliare, dove unione e solidarietà sembrano essere un punto saldo nel (e dal) quale farsi forza. Il sesso è consumato come atto di necessità o di fede più che come traduzione carnale del sentimento amoroso mentre i luoghi si aprono a una desolazione estesa che accoglie vite in fuga, sguardi rubati, corpi decadenti mostrati nella loro nudità. Una generazione che si confronta con sé stessa in una terra che sembra nuova ma che ancora non lo è.

Dalla Polonia con rigore

Il giovane regista polacco Tomasz Wasilewski dirige con Zjednoczone Stany Milosci (United States of Love) un film che rientra appieno nei canoni duri e rigorosi del cinema polacco contemporaneo, basti pensare al recente Premio Oscar per Miglior Film Straniero Ida. Lì era il bianco e nero, qui i toni desaturati di una fotografia che appare pallida e priva di vita come le esistenze delle quattro protagoniste che la attraversano. Rileggendo a distanza la cupezza degli anni '90 intesi come limbo, atto transitorio di passaggio da una condizione di regime a una libertà ancora tutta da conquistare e capire, Tomasz Wasilewski segue e rintraccia uno status femminile di profondo smarrimento, affanno. Camera a mano e un'insistenza particolare nel riprendere i corpi di spalle, da dietro, il 35enne regista polacco ritrae una dimensione di vita dove corpi e parole hanno un peso specifico enorme. Avvicinate e filmate nella loro solitudine, marginalità, inadeguatezza, le protagoniste di United States of Love sognano un mondo che non c'è e abitano una realtà che le 'respinge'. Nell'impasse sociale, culturale, religiosa e sentimentale disegnata dal film emergono tanti spettri e una grande desolazione. Ma a una prima parte che al rigore estetico affianca anche una compostezza narrativa, ne segue una seconda dove personaggi e azioni sono ben più offuscati, e dove anche la ricerca insistita di corpi e nudità finisce per essere un po' ossessiva, morbosa. Il rigore perde la sua lucidità e anche il film smarrisce quella capacità di analisi e contrasto mostrata in partenza.

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