Non è il preludio per annunciarvi le mie prossime vacanze ma il tempo record in cui ho guardato interamente una serie tv. United States of Tara mi ha stregata.
L'intera narrazione è incentrata su di lei che, nonostante le molteplici personalità, tenta di condurre una vita normale. I siparietti che si creano con queste sue bizzarre transizioni virano dall'esilarante all'agghiacciante, il tutto a danno dei famigliari e amici che subiscono inermi le conseguenze di questo disturbo.
Nella cinematografia avevamo già assistito all'uso di questa patologia per svoltare la trama e stupire lo spettatore, mi viene in mente uno scompigliato Johnny Depp in Secret Window, un insolitamente serio Jim Carry in Number 23 o il più recente Cigno Nero e per andare sul classico gli intramontabili Psyco, Shutter Island e Fight Club. Ciò che rende inconsueto questo telefilm, però, è la sdrammatizzazione del disturbo.
Lo spettatore, i famigliari e gli amici di Tara sono già consapevoli di ciò che li aspetta, ma ciò che è imprevedibile, e che incolla allo schermo, è in chi si trasformerà Tara, cosa combinerà e come reagiranno le persone che le stanno intorno.
Punta di diamante dello show è senza ombra di dubbio Toni Colette, una caratterista nata. Il telefilm è tutto sulle sue spalle e lei dimostra di saperne gestire egregiamente il peso. La mimica facciale, l'espressività, l'impostazione delle voce, son tutte virtù che padroneggia da gran professionista riuscendo a calarsi nei panni di ben 8 personaggi con a disposizione un solo corpo.
Queste tre personalità sono le principali che si impossessano del corpo di Tara da anni ormai, con il passare delle stagioni però vediamo introdotti nuovi alter ego come Shoshana Schoenbaum psicoterapeuta naif, Pulcino una regressione allo stato infantile, Gimme un alter ego animalesco e infine il crudelissimo Bryce.
Fondamentale per tenere in piedi la baracca risulta, quindi, il talento della Colette che si destreggia con abilità in diversi panni tanto da oscurare tutti con la sua performance non giovando di certo ai personaggi secondari che già di per sé risultano un po' stereotipati: l'adolescente ribelle, il figlio omosessuale e il marito amico apprensivo. Nell'insieme un bel quadretto famigliare di cui spiamo le dinamiche e l'evoluzione, ma questo solo fino a che la sceneggiatrice Diablo Cody (vi ricordate Juno?) non decide di cambiare rotta e puntare tutto sul cavallo vincente annientando trama e personaggi secondari.
Sopraggiunta la terza e ultima stagione ci si aspetterebbe la risoluzione del dilemma iniziale, per un minimo di coerenza narrativa, invece il focus ancora una volta é altrove e più precisamente sul mostro di bravura di Toni Colette che però ormai si ritrova su un palco da sola avvolta da un cono di luce. A conti fatti, il cast femminile schiaccia senza pietà la quota blu creando un divario di performance palpabile.
Simpatica e accattivante risultava la rappresentazione riassuntiva dei tre principali alter ego di Tara nella sigla girata in stop motion avvolta da un brano che si fa ricordare facilmente, peccato che poi le scelte di sceneggiatura di ampliare il parterre di personalità abbia portato con sé la scomparsa di questo opening per virare su un anonimo e scialbo watermark riportante semplicemente il titolo della serie.
Nonostante le scelte di dubbio gusto da parte della produzione, United States of Tara è un telefilm godibile a tutti gli effetti, ma che risente dell’assenza di quel pizzico di coraggio in più nella sceneggiatura che lo avrebbe portato a spiccare il volo.